Una ricerca pubblicata dal Carbone Disclosure Project e l’agenzia Verdantix analizza i potenziali benefici ambientali ed economici nel trasferire dati su un server remoto
Passare al cloud computing conviene, sia da un punto di vista economico che ambientale. E’ questo il risultato di una ricerca pubblicata dall’organizzazione Carbon Disclosure Project e l’agenzia di consulenza Verdantix sui potenziali benefici per le imprese nel trasferire dati e programmi su una cloud (letteralmente nuvola), ovvero su un server remoto accessibile in ogni momento tramite normale collegamento internet. Solo per gli Stati Uniti, lo studio prevede risparmi sulla bolletta energetica fino a 12,3 miliardi di dollari dal 2020 e riduzioni delle emissioni di anidride carbonica su scala nazionale di 85,7 milioni di tonnellate l’anno se le maggiori compagnie si convertono al cloud computing. Nel caso di un’azienda tipo che decide di trasferire dati e software del solo settore risorse umane, i ricercatori calcolano potenziali tagli alle emissioni annuali intorno alle 30mila tonnellate, quanto seimila autovetture. La ricerca è frutto di un’accurata serie di interviste in vari settori industriali ad undici imprese multinazionali (Boeing, Dell, Deutsche Bank ed altre ancora) che hanno utilizzato da almeno due anni la tecnologia del cloud computing. Tra i principali benefici, la possibilità di espansione di memoria ed elaborazione dati praticamente in tempo reale, l’eliminazione di investimenti in attrezzature IT e dei relativi costi di gestione. Le aziende pagano solo per lo spazio di cui hanno bisogno ed i risparmi, rileva la ricerca, si aggirano intorno al 40-50%.
Il merito principale di un immagazzinatore di dati remoto come la cloud è quello di poter raggiungere alti livelli di efficienza sfruttando economie di scala, con una riduzione drastica dei tempi morti. Se infatti una singola azienda con server interno ha la necessità di mantenere capacità in eccesso per far fronte agli ineliminabili picchi di attività, l’utilizzo di una cloud esterna permette di rispondere in maniera flessibile agli alti e bassi nel flusso di dati. Le credenziali verdi del cloud computing sono tuttavia più complesse da definire. Come ha sottolineato Greenpeace in una recente ricerca, più dell’efficienza è la modalità di alimentazione a costituire il nodo centrale – le ricadute positive di un server che utilizza energia prodotta da centrali a carbone sono infatti giudicate minime. Considerando che una cloud remota può essere ospitata ovunque purché accessibile via internet, Stephen Stokes, vice-presidente della società di ricerca Gartner, intervistato di recente sul Financial Times, prevede un mercato globale incentrato su paesi con produzione di energia da fonte geotermica ed idroelettrica. Più precisamente: Danimarca, Islanda ed Austria per l’Europa, Nuova Zelanda per l’Asia-Pacifico e Brasile per il continente americano.