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Vestiti sintetici, tra i colpevoli dell’inquinamento oceanico?

(Rinnovabili.it) – Cosa unisce i capi d’abbigliamento sintetici all’inquinamento marino? La risposta va cercata nelle microplastiche, particelle di plastica centomila volte più piccole di un capello umano, ma molto insidiose in termini ambientali, a causa delle quali la salute e la sicurezza dei litorali di tutto il mondo è messa in serio pericolo. A rivelarlo è uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology, secondo il quale parte della responsabilità va attribuita alle lavatrici. Tutto ha avuto inizio quando nell’area Nord-Est dell’Atlantico e sulle coste di Gran Bretagna, Singapore e India sono stati rilevati frammenti di acrilico, polietilene, polipropilene, poliammide e poliestere. Nel tentativo di capire quale fosse la fonte di contaminazione, un gruppo di ricercatori, provenienti dalle università di Dublino, Sydney, Plymouth ed Exeter, ha proceduto a separare chimicamente la sabbia dalle plastiche, scoprendo che quasi l’80% dei frammenti rinvenuti erano poliestere e acrilico, materiali comunemente usati per i tessuti sintetici. Per verificare le loro teorie, i ricercatori hanno messo in lavatrice alcuni indumenti sintetici ed effettuato lavaggi per tre mesi; dopo aver raccolto e filtrato le acque reflue, hanno potuto constatare che ogni singolo capo d’abbigliamento è in grado mediamente di produrre 1.900 particelle di microplastiche. I rischi che si corrono non sono pochi: le microplastiche ingerite dai pesci, avvisano i ricercatori, possono persistere nelle cellule per mesi e risalire la catena alimentare fino ad arrivare all’uomo; oltretutto si tratta di particelle che sembrano assorbire sostanze chimiche tossiche, come il DDT o la diossina. Facile immaginare le conseguenze.

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