Mentre l’Europa fatica a trovare una posizione comune per rivitalizzare il mercato delle emissioni di anidride carbonica (EU ETS – Emission Trading Scheme), la Gran Bretagna ha deciso di intervenire unilateralmente in ambito domestico, introducendo dal primo di aprile un prezzo minimo per i permessi di CO2, il cosiddetto carbon floor price. Dall’anno fiscale corrente, i produttori di energia elettrica da combustibili fossili dovranno pagare prezzi maggiorati rispetto ai concorrenti europei per ogni tonnellata di carbonio rilasciata in atmosfera, una sovrattassa che ha messo sul piede di guerra imprese e consumatori, su cui si andrebbero a riversare i previsti aumenti in bolletta. Se il prezzo dei permessi ETS dovesse continuare a languire ai livelli attuali, ipotesi molto probabile dopo il voto negativo del Parlamento di Bruxelles alla proposta di congelare l’asta di 900 milioni di crediti (“backloading”), la pressione sui fornitori d’energia d’oltre manica rischierebbe di diventare col tempo insostenibile. La strada imboccata dal governo Cameron potrebbe tuttavia rappresentare una delle possibili opzioni di riforma del sistema di Emission Trading, soprattutto se l’effetto del voto del Parlamento europeo sarà quello di rinazionalizzare parzialmente le politiche di lotta ai cambiamenti climatici.
Il Carbon floor price (CFP) è stato introdotto dal governo Cameron nel 2011 ed è entrato in vigore due settimane fa con un valore iniziale di 15,80 sterline (18,50 euro). E’ prevista una progressione costante negli anni fino a raggiungere 30 sterline nel 2020. Il provvedimento si inserisce nel più ampio programma di riforma del mercato dell’energia (Energy Bill) per la trasformazione del sistema elettrico nazionale secondo il doppio obiettivo della sostenibilità produttiva e sicurezza nell’approvvigionamento delle risorse. Il trend corrente nel prezzo dei permessi ETS (dai 30 euro di cinque anni fa a meno di 5 nelle ultime settimane) non è infatti considerato sufficiente ad indirizzare gli investimenti necessari in infrastrutture e tecnologie verdi in linea con l’impegno di decarbonizzazione e riduzione dei gas inquinanti (del 50% nel 2027 rispetto al 1990).
Come viene calcolata la carbon floor price?
Il sistema del carbon floor price agisce come una sorta di carbon tax, per cui il valore dei permessi CO2 non può scendere al di sotto di una soglia predeterminata. I fornitori di combustibili fossili per la produzione di energia elettrica sono obbligati a versare per ogni tonnellata di carbonio un ammontare pari alla differenza tra il prezzo stimato dei crediti ETS ed il valore del floor price. Il prezzo stimato per l’anno fiscale di riferimento viene comunicato dal ministero dell’economia con due anni di anticipo, al fine di fornire certezza a coloro che eventualmente saranno soggetti al pagamento. Un esempio concreto può aiutare a capire meglio il meccanismo. Per l’annualità in corso (2013-14), l’esecutivo aveva calcolato nel budget 2011 un prezzo medio dei permessi poco inferiore alle 11 sterline, una stima basata sulla media dei contratti futures per dicembre 2013. Considerando che il carbon floor price è stato fissato per lo stesso anno a 15,80 sterline, la differenza tra i due valori (esattamente 4,94 sterline) corrisponde alla cifra da versare all’erario – la cosiddetta Carbon price support rate (CPSR), che viene a sua volta convertita in tassa a seconda del contenuto di CO2 del combustibile di riferimento. E’ evidente come stimare il prezzo dei permessi in anticipo rappresenti un esercizio particolarmente insidioso, com’è stato ampiamente dimostrato proprio quest’anno: il valore corrente dei crediti di anidride carbonica è infatti meno della metà di quello calcolato dal governo nel 2011. In parole povere il carbon floor price non è stato raggiunto. Il prezzo medio per il 2014 è invece fissato a 9,55 sterline, anch’esso evidentemente troppo ottimista.
Carbon floor price, tra sostenitori e critici
Nonostante possa vantare indubbie credenziali green, il carbon floor price è probabilmente tra le misure più controverse introdotte dal governo Cameron in ambito ambientale. Dagli imprenditori alle associazioni dei consumatori, fino alle organizzazioni non governative, la lista di chi ha avuto da eccepire sul provvedimento è particolarmente corposa e la pressione sul ministro dell’economia per un’abrogazione del sistema è destinata solamente ad aumentare. Secondo buona parte del mondo industriale, i costi dovuti al floor price andranno ad incidere negativamente sulla competitività delle imprese nazionali e potranno generare fenomeni di carbon leakage, quando i produttori più energivori con maggiori emissioni di gas inquinanti chiudono bottega e trasferiscono i capannoni all’estero. Va dato credito al governo di aver comunque introdotto esenzioni ed agevolazioni per i settori ritenuti più sensibili. Nel breve periodo, il meccanismo contribuirà inoltre ad un aumento delle bollette residenziali, anche se il Dipartimento per l’Energia ed il Cambiamento Climatico (DECC) ha stimato che l’assenza della riforma avrebbe causato rincari più elevati. Altrettanto controverso è il modo in cui il governo intende utilizzare i proventi raccolti, con le associazioni ambientaliste che premono per indirizzare le risorse verso progetti specifici di riduzione dei gas climalteranti.
Rimane comunque aperta la questione principale sull’efficacia del provvedimento nello spronare imprese e produttori energetici ad investire in sistemi e tecnologie più efficienti a bassa produzione di anidride carbonica – quello che dopotutto sarebbe l’obiettivo ultimo del mercato europeo dei crediti ambientali. Come evidenziato dalla charity britannica Sandbag, che tiene l’ETS sotto osservazione, l’unilateralità dell’azione del governo Cameron potrebbe solamente premiare le aziende che già operano nei settori non-inquinanti (nucleare e rinnovabili), senza inoltre avere alcun effetto sul totale delle emissioni rilasciate su scala europea. Se i produttori inglesi, come effetto dei prezzi domestici maggiorati, fossero indotti a rilasciare quantità minori di carbonio, i permessi così liberati potrebbero semplicemente ritornare sul mercato, con un impatto negativo sui prezzi e maggiori opportunità di emissioni per le imprese straniere. Meglio sarebbe, secondo Sandbag, promuovere un’azione coordinata con il coinvolgimento almeno dei maggiori paesi europei, Germania su tutti.
Dopo il “no” di Strasburgo
L’esecutivo inglese sperava che la proposta di backloading rifiutata ieri dal Parlamento europeo avrebbe ridato fiato al sistema di Emission Trading, almeno nel breve periodo, e probabilmente reso il floor price più digeribile al pubblico domestico, sempre nell’ottica di una riforma strutturale del mercato dei crediti CO2 da negoziare con gli altri paesi – la Gran Bretagna per esempio vorrebbe il ritiro definitivo di 1,2 miliardi di crediti durante la terza fase (2013-20). Nonostante il governo Cameron, in mano ad una coalizione tra conservatori e liberal-democratici, avesse intimato i propri rappresentanti nell’emiciclo di Bruxelles ad appoggiare l’emendamento, ventidue dei ventisette parlamentari conservatori hanno votato contro, una posizione che non fa altro che gettare un ombra sulle sorti del carbon floor price.