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La demolizione delle navi è un far west che deve finire

Faccendieri, speculatori e aziende senza scrupoli popolano il settore della demolizione delle navi, che inquina il mondo e vìola i diritti umani

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Credits: Adam Cohn via Flickr (CC BY-NC-ND 2.0 DEED)

La spinta per l’economia circolare deve migliorare le norme per la demolizione delle navi

(Rinnovabili.it) – Nel 2023, ben 446 navi commerciali oceaniche e unità offshore sono state smaltite in tutto il mondo. La maggior parte, 325, è composta da imbarcazioni smaltite su spiagge dei paesi asiatici come Bangladesh, India o Pakistan. La demolizione delle navi interessa maggiormente compagnie di navigazione dell’Asia orientale e dell’Europa. I dati, pubblicati recentemente dalla NGO Shipbreaking Platform, sono accompagnati da enormi impatti ecologici e sociali. 

Nel prossimo futuro, le navi a fine vita aumenteranno, e il focus sull’economia circolare alimenterà la domanda di acciaio di scarto a basso contenuto di carbonio. Si tratta di un’opportunità per trasformare il settore del riciclo delle navi. Ma per ora, tutto procede business as usual.

Nell’Asia meridionale, spiega la piattaforma di ONG, i lavoratori sono esposti a esplosioni, caduta di lastre di acciaio, fumi e sostanze tossiche che possono trovarsi all’interno degli scheletri di questi giganti del mare. I rifiuti tossici fuoriescono nell’oceano, passano nelle acque sotterranee e nei campi agricoli. L’aria è inquinata ben oltre i livelli accettati a livello internazionale. Nella regione, infatti, si adottano metodi che comprimono i costi per rilavorare l’acciaio di scarto contaminato delle navi.

Il riciclo delle navi condotto senza alcuna sicurezza è costato la vita ad almeno 6 lavoratori sulla spiaggia di Chattogram, in Bangladesh. Altri 19 sono rimasti gravemente feriti. 

Ipocrisia cinese

La Cina è in cima alla lista dei paesi che smaltiscono navi. Nonostante l’esistenza di moderni impianti di riciclo a livello nazionale, i proprietari cinesi hanno venduto 71 navi ai demolitori in Asia meridionale, di cui 59 sono state portate su spiagge in Bangladesh. In una nota, la piattaforma di ONG critica il paese per aver “vietato l’importazione di rifiuti come parte dei suoi sforzi per pulire il proprio ambiente e migliorare la qualità della vita dei suoi cittadini, mentre l’industria navale continua a scaricare i suoi rifiuti tossici su alcune delle comunità e degli ambienti più vulnerabili al mondo”.

Hong Kong, Emirati Arabi Uniti, Thailandia, Grecia, Russia e Corea del Sud seguono nella classifica delle navi mandate “al macero” nel 2023.

L’impunità delle compagnie di navigazione

Il gigante svizzero del trasporto container, Mediterranean Shipping Company (MSC), è l’azienda che più ha mandato navi in demolizione nel 2023. In un decennio, ha smaltito oltre cento navi, e lo scorso anno ne ha mandate ben 14 ad Alang, in India. Secondo la NGO Shipbreaking Platform, “la MSC Floriana e la MSC Giovanna hanno lasciato rispettivamente le acque spagnole e turche per essere demolite, violando palesemente la legge europea e internazionale che vieta l’esportazione di rifiuti pericolosi dai paesi dell’OCSE a quelli non OCSE. Le esportazioni illegali di navi giunte alla fine della loro vita utile sono un reato penale”.

“Evergreen, Gearbulk, Green Reefers, Maersk, Sinokor e Zodiac Group Monaco sono altre aziende ben note che hanno venduto i loro asset tossici per la demolizione sulle spiagge dell’Asia meridionale nel 2023”, aggiungono gli attivisti.

Leggi ambientali aggirate

Le normative ambientali e sul lavoro esistono, ma vengono ignorate e facilmente aggirate dai proprietari delle navi. Una pletora di intermediari acquista, rinomina, ri-registra e cambia le bandiere sulle navi a fine vita prima del loro ultimo viaggio verso i cantieri di demolizione. Le più utilizzate sono quelle del Camerun, delle Isole Comore, della Mongolia, di Palau, di St Kitts&Nevis e della Tanzania. “Almeno due di questi cambi di bandiera hanno permesso alle aziende greche Danaos Shipping e Ilios Shipping di aggirare il regolamento UE sulla demolizione delle navi”, dice la NGO Shipbreaking Platform. La normativa richiede che le navi con bandiera dell’UE vengano smantellate solo in strutture approvate.