L'atollo di Bikini ha livelli doppi rispetto a quelli che le isole Marshall hanno pattuito con gli Usa. Manca però uno studio su acqua e cibo radioattivi: gli effetti reali su uomo e ambiente potrebbero essere ancora peggiori
(Rinnovabili.it) – Il livello di radiazioni registrato sulle isole Marshall è più alto del previsto. Sono passati 70 anni esatti dai primi test nucleari sull’atollo di Bikini e altre 5 isole dell’arcipelago, nell’oceano Pacifico, ma il grado di contaminazione è ancora così alto che gli sfollati non possono farvi ritorno. E non potranno nemmeno nel prossimo futuro, visto che i tempi di decadimento sono molto più lunghi di quanto gli scienziati si aspettavano. Oggi, le conseguenze di questo disastro avvelenano ancora il cibo, la terra, l’acqua e rendono impossibile la vita.
A rivelarlo è uno studio approfondito e documentato della Columbia University di New York, pubblicato da poco sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. Gli scienziati hanno condotto una ricerca sul campo, ottenendo per la prima volta da decenni dati reali. In precedenza infatti ci si affidava a proiezioni basate sulle serie di dati storici. Sono 6 le isole passate al vaglio, tutte nella parte nord dell’arcipelago: Enewetak, Medren e Runit sull’atollo di Enewetak, Nam e Bikini sull’omonimo atollo, e Rongelap.
A condurre decine di test nucleari in questa zona furono gli Stati Uniti. Tra il 1946 e il 1958, nel periodo della Guerra Fredda più carico di tensioni e incognite, la prima potenza mondiale scaricò ben 67 ordigni. La seconda bomba – che gli americani soprannominarono “Helen of Bikini” – sollevò un’immane onda composta da 2 milioni di tonnellate di acqua radioattiva. Invece dell’appellativo Helen of Bikini, uno dei padri della bomba atomica, Glenn Seaborg, chiamò quell’esperimento col suo nome: “il primo disastro nucleare al mondo”. Ciò nonostante, la Micronesia continuò a essere bersagliata, un test nucleare dopo l’altro. E gli abitanti, anche gli sfollati, accusarono gravissimi problemi di salute che li colpirono immediatamente, così come colpiscono i loro discendenti ancora oggi.
Gli Usa scelsero gli atolli di Bikini e Enewetak per i test e spostarono la popolazione. Ma le radiazioni contaminarono anche i vicini atolli di Rongelap e Utirik, che erano abitati. Gli sfollati provarono in seguito a farvi ritorno, a distanza di 10 o 20 anni, ma la radioattività era ancora troppo alta. “Questa gente sogna di far ritorno a Bikini, ma conosciamo orribili storie di persone tornate troppo presto che si sono ammalate”, racconta Emlyn Hughes, docente di Fisica alla Columbia University.
Insieme ai suoi colleghi ha misurato i livelli di radiazioni gamma sui diversi atolli. Gli strumenti hanno segnalato un situazione catastrofica su Bikini dove la radiazione nucleare è ancora il doppio del livello previsto dagli accordi tra Usa e repubblica delle Isole Marshall: 184 millirem l’anno contro i 100 pattuiti. Bikini, con buona probabilità, non potrà tornare mai più ad essere abitata. Le altre isole sono invece al di sotto degli standard previsti.
Gli scienziati però sottolineano che queste analisi non bastano per determinare l’effettivo livello di rischio, tanto per la popolazione umana quanto per valutare correttamente gli effetti del nucleare sull’ecosistema degli atolli. Infatti raccomandano, prima di autorizzare il ritorno di alcuni sfollati sulle isole meno radioattive, di procedere con ulteriori verifiche sul cibo. In buona sostanza, l’esposizione globale alle radiazioni potrebbe aumentare, e di molto, se si tiene in considerazione quella derivante dall’assunzione di cibo prodotto localmente, come ad esempio le noci di cocco e il pesce, alla base della dieta nelle Marshall. Anche il ritorno sulle altre isole, quindi, resta in forse.
Di sicuro nessuno abiterà più su due isole dell’arcipelago: Nam è stata completamente distrutta da un test, mentre Runit è ora sede di un deposito di scorie.