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Isole di spazzatura: un modello matematico ne studia gli spostamenti

isole di spazzatura(Rinnovabili.it) – La plastica è una minaccia costante per l’ambiente. Spesso abbandonati, i rifiuti finiscono per rimanere nei boschi, sulle strade e in mare per decine di anni, rappresentando un pericolo per gli animali e per il benessere della flora. Accumulatasi nell’oceano, la plastica negli anni ha dato vita a quella che è ormai conosciuta come la Great Pacific Garbage Patch, una vera e propria isola di rifiuti che si sposta portata dalle correnti marine danneggiando sia i pesci che la vegetazione sottomarina.

 

Per capire da dove provenga tutta questa spazzatura e soprattutto dove è destinata ad arrivare, i ricercatori dell’Università del New South Wales hanno creato un nuovo modello matematico. Disposta tra le Hawaii e la California, l’isola è una delle cinque esistenti, tutte egualmente pericolose per pesci e uccelli che scambiando la spazzatura per cibo se ne nutrono. “In alcuni casi, ci può essere un paese lontano da un’isola di spazzatura che sta contribuendo direttamente alla sua crescita”, ha dichiarato uno degli autori dello studio, Gary Froyland della UNSW.
Il nuovo modello potrebbe anche aiutare a determinare la velocità con cui la spazzatura si sposta da una patch ad un altra, come ha dichiarato un altro degli scienziati coinvolti in questo studio, l’oceanografo Erik van Sebille. “Siamo in grado di utilizzare il nuovo modello per esplorare, ad esempio, la velocità con la quale la spazzatura dell’Australia finisce nel Pacifico settentrionale” ha commentato specificando che si sta anche cercando di capire in che modo si spostino e mescolino le acque superficiali oceaniche, influenzate sia dalle correnti sottomarine sia dai venti di superficie oltre che dalla temperatura dell’acqua che ne causa il rimescolamento e dai gradienti di salinità.

Definendo i confini oceanici a seconda dell’influenza delle correnti i matematici, esperti di quella che nel settore è nota come teoria ergodica, hanno potuto stabilire in che modo sono collegati i vari oceani, scoprendo che aree molto lontane tra loro sono in realtà strettamente collegate.

“Il messaggio del nostro lavoro è che abbiamo ridefinito i confini dei bacini oceanici a seconda di come l’acqua si muove” dichiara van Sebille.

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