Il referendum del 17 aprile è un’importante occasione per imprimere un’accelerazione alla lenta trasformazione del modello energetico nazionale. Votare non è mai “una bufala”, ma espressione di democrazia. Dimostriamolo
(Rinnovabili.it) – Questa è la quarta volta nella storia della Repubblica che i cittadini italiani sono chiamati ad esprimersi con un referendum che investe il tema dell’energia. Era il 1987 quando il Paese disse il primo “no” al nucleare, abrogando la norma che permetteva allo Stato di superare l’opposizione dei Comuni sulla localizzazione degli impianti. Il quorum fu ampiamente superato (65,1%), cosa che non accadde invece nel 2003, quando si tentò di annullare l’obbligo per i proprietari terrieri di dar passaggio alle condutture elettriche sui loro terreni. Un incidente di percorso, che non cambiò l’opinione della maggioranza dell’elettorato. Tutte e tutti ricordiamo, infatti, la straordinaria vittoria del 2011, quando il 54,79% degli aventi diritto si recò alle urne per lanciare un messaggio inequivocabile al governo, ancora sull’energia nucleare.
Domenica 17 aprile, la battaglia metterà nel mirino gli idrocarburi e le trivelle che li estraggono dal mare. Ma l’obiettivo generale è lo stesso: cambiare un modello energetico ancora disperatamente aggrappato ai combustibili fossili, per guardare una volta per tutte al futuro, quello basato su un modello energetico che garantisca la salute e la qualità della vita dei cittadini, un modello che inevitabilmente passa dall’uso dell’energia rinnovabile e dell’efficienza energetica.
È lodevole il lavoro di controinformazione dal basso che è riuscito a penetrare il muro di gomma delle istituzioni, per tentare di abbattere totem ben più “sacri” dell’atomo: il petrolio e il gas. Mai quanto oggi, infatti, l’energia fossile è sotto accusa, segno che milioni di persone hanno a cuore le sorti dell’ambiente e del futuro dell’umanità. La forza di questo movimento referendario risiede nella capacità di unire le questioni locali – come l’estrazione degli idrocarburi entro le 12 miglia dalle coste italiane – a quelle più transnazionali del cambiamento climatico innescato dal riscaldamento globale. Il nesso è fortissimo, eppure in gran parte del pianeta ancora non viene percepito. L’Italia, nel suo piccolo, sta contribuendo ad aprire nuove strade, a costruire un’idea di mondo in cui la globalizzazione dei diritti va anteposta alla globalizzazione del commercio.
La resistenza dei gruppi di potere legati ai combustibili fossili sono strenue: lo dimostra, nel contesto italiano, la campagna denigratoria allestita dal governo e dall’industria. Dati apocalittici sul crollo occupazionale e strategicità della produzione nazionale di idrocarburi sono i cavalli di battaglia del blocco composto da contrari e astensionisti. Che arrivano perfino a ventilare timori (in caso di vittoria dei Sì) per un eventuale aumento delle importazioni da luoghi del mondo presidiati di gruppi terroristici. Tutte affermazioni facilmente smentibili, a cominciare dai dati sull’occupazione. Secondo Assomineraria, il referendum – che punta a restituire una data di scadenza certa alle concessioni in acque territoriali – mette in pericolo 10 mila posti di lavoro. Secondo la FIOM sarebbero meno di 100. Il dato sembra più ragionevole, dal momento che le 92 strutture entro le 12 miglia (tra piattaforme, teste di pozzo e strutture di supporto attive e non) sono gestite quasi totalmente da remoto. Stesso discorso per la strategicità delle risorse italiane: dalle acque territoriali si produce il 9,1% del totale nazionale di petrolio, che sui consumi incide per un misero 0,8%. In pratica, lo importiamo già oggi quasi tutto. Anche per il gas, le percentuali cambiano poco: entro le 12 miglia si produce il 27% del totale nazionale, che copre appena il 3% dei consumi complessivi.
La bilancia energetica, in conclusione, non verrebbe sconvolta dalla vittoria dei Sì. Al contrario, l’esito positivo della consultazione sarebbe un chiaro messaggio per il governo: i posti di lavoro vanno creati e preservati nelle energie pulite. Un pensiero va al mondo dell’eolico, che ha perso 4 mila occupati nel 2015 a causa delle politiche disincentivanti dell’esecutivo.
Abbiamo la possibilità di dare un segnale per invertire la rotta. Non sprechiamola.