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Tutto quello che sappiamo sui pericoli delle microplastiche

pericoli delle microplastiche
via depositphotos.com

Sappiamo ormai abbastanza sui pericoli delle microplastiche. Ora dobbiamo agire

Sono passati vent’anni da quando un articolo sulla rivista Science rivelava l’accumulo di minuscoli frammenti di plastica nell’ambiente. Da allora, la ricerca sui pericoli delle microplastiche è esplosa, con oltre 7 mila studi pubblicati che mostrano la diffusione di queste particelle nell’ambiente, negli animali e persino nel corpo umano. Dopo due decenni, un nuovo studio condotto da ricercatori da 5 diverse università ha preso in esame questo corpus di dati e ne ha tratto le prime conclusioni.

Cosa emerge dalla revisione della letteratura sulle microplastiche

Quali sono i messaggi chiave che la cosiddetta literature review ha individuato scandagliando i 7 mila studi sul tema? Che le microplastiche sono ovunque: dagli oceani alle montagne più remote. Nello specifico, sono state trovate in più di 1.300 specie animali, tra cui pesci, mammiferi e uccelli. Ne sono state individuate anche nel cibo, nell’acqua e persino nell’aria che respiriamo. Le microplastiche derivano da diverse fonti, tra cui:

Impianti di riciclo della plastica (rilasciano particelle che sfuggono ai filtri).

Come le microplastiche entrano negli alimenti e nel corpo umano

Tra i principali pericoli delle microplastiche c’è quello derivante dal passaggio attraverso la catena alimentare. Ne sono state trovate in cibi come:

Le contaminazioni possono verificarsi in ambiente o durante la lavorazione e l’imballaggio dei cibi. Da qui passano in organi quali polmoni, fegato, reni, sangue e persino nel cervello. Sebbene alcune vengano espulse dall’organismo, molte vi rimangono a lungo.

Possibili effetti sulla salute

Studi recenti indicano possibili effetti nocivi delle microplastiche, tra cui:

Cosa fare per combattere il problema?

I ricercatori che hanno svolto l’analisi individuano alcune soluzioni possibili. Tra queste: 

Dopo vent’anni di ricerche, dicono, abbiamo abbastanza dati per agire. È il momento di trasformare le conoscenze in azioni concrete.

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