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Chi vuole azzoppare il trattato globale sulla plastica?

Trattato globale sulla plastica: USA, Cina e paesi arabi frenano
Photo by Dstudio Bcn on Unsplash

In Uruguay si è tenuto il 1° round negoziale (INC-1) per il trattato globale sulla plastica

(Rinnovabili.it) – Il trattato globale sulla plastica forse non sarà globale. E non indicherà neppure degli obiettivi obbligatori di riduzione. Il primo giro di negoziati è finito venerdì e ha tirato il freno a mano sull’ambizione. Nulla è ancora deciso, le trattative continueranno con altri quattro incontri spalmati fino al 2024. Ma già in questa prima occasione, l’Intergovernmental negotiating committee 1 (INC-1), sono diventati ben visibili i paesi che frenano e le loro proposte alternative.

Chi frena sul trattato globale sulla plastica…

La cattiva notizia è che sono molti i paesi contrari a un trattato globale sulla plastica: preferiscono degli obiettivi nazionali, determinati dallo stato e non scritti in un accordo internazionale. In questo modo sostengono, sarà più facile aggredire i tipi di plastica che sono realmente un problema usando la ‘grana fine’ della scala nazionale. Di più: la plastica sarebbe importante per lo sviluppo socioeconomico e per non lasciare nessuno indietro. Questa notizia ne racchiude una anche peggiore: su questa linea ci sono pesi massimi come Stati Uniti e Cina, oltre ai massimi produttori di fossili come l’Arabia Saudita. E senza Pechino e Washington a fare da traino è difficile riuscire a chiudere un buon accordo col giusto livello di ambizione. Esattamente come avviene per i negoziati sul clima.

Se da un lato “la maggior parte dei paesi è pronta a intraprendere azioni urgenti per affrontare la crisi della plastica, anche affrontando la produzione di plastica”, dall’altro lato “i produttori di plastica e i loro alleati sono ugualmente impegnati a rallentare i progressi e a indebolire le ambizioni”, spiega Carroll Muffett, presidente e Ceo dell’ong CIEL, presente ai negoziati in Uruguay. Le manovre di chi difende la plastica viste a Punta del Este, continua, vanno “dall’insistenza degli Stati Uniti affinché il trattato sulla plastica riproduca le debolezze dell’Accordo di Parigi, alle manovre dell’ultimo minuto di altri Stati produttori di combustibili fossili e petrolchimici per bloccare la capacità dei Paesi di votare su questioni difficili”.

… e chi vuole un accordo ambizioso

Sulla sponda opposta, i paesi che spingono per un approccio più duro contro l’inquinamento da plastica sottolineano che questo problema non riconosce confini politici, è transnazionale per natura. Quindi delle soluzioni nazionali, non coordinate, faranno ben poco per risolverlo. Tanto più se si lascia alla discrezione dei governi la scelta di quali azioni mettere in campo. A guidare questa pattuglia di paesi, che vuole un trattato globale sulla plastica vincolante che metta fine all’inquinamento entro il 2040, sono Norvegia e Ruanda, insieme a molti paesi africani, ai piccoli stati insulari, a paesi latinoamericani come Ecuador e Perù.

Tra i risultati positivi, “le richieste di riduzione della produzione e dell’uso della plastica, l’eliminazione delle sostanze tossiche associate al ciclo di vita della plastica, la protezione della salute umana e la necessità di una giusta transizione, sostenute da molti Stati membri e persino da due dei peggiori inquinatori di plastica, Nestle e Unilever”, commenta la Break Free From Plastic, coalizione ombrello di ong.

L’Europa ha promesso di aderire a questa pattuglia di paesi, rinominata High Ambition Coalition to End Plastic Pollution. Ma non tutti i Ventisette sono formalmente parte della coalizione. Tra questi manca l’Italia, fuori come Spagna e Grecia e gran parte dell’Europa orientale, mentre hanno aderito Francia e Germania, i paesi scandinavi e il Portogallo.

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