Domenica 1° dicembre si chiude l’INC-5, il 5° e ultimo round dei negoziati partiti nel 2022 per stipulare un accordo globale contro l’inquinamento da plastica e istituire un processo negoziale come le COP su clima, biodiversità e desertificazione create nel 1992. I paesi produttori di petrolio fanno ostruzionismo, Arabia Saudita in testa
Siamo ancora lontani da un trattato globale sulla plastica. Lontanissimi da un buon accordo, che affronti in modo adeguato l’intero ciclo di vita dei prodotti in plastica. Compresa la produzione.
Mancano meno di 48 ore alla fine dei negoziati Onu (INC-5) di Busan, in Corea del Sud, per trovare un’intesa su come limitare l’inquinamento da plastica nel mondo. E l’ultima bozza – un non-paper preparato dalla presidenza dei negoziati, reso pubblico a metà mattina di venerdì 29 novembre – non fa molti passi avanti.
Leggi qui l’ultima versione dell’accordo mondiale per limitare l’inquinamento da plastica .
L’Arabia Saudita ostacola i negoziati
I negoziati per il trattato globale sulla plastica si devono chiudere il 1° dicembre. Ma nei 5 giorni già trascorsi, le delegazioni nazionali presenti a Busan hanno registrato un clima anche peggiore di quello della COP29 di Baku.
I paesi che si sono opposti a un accordo fin dal 2022, l’inizio del percorso negoziale, continuano a ostacolare il dialogo. Nel mirino di molti paesi c’è l’Arabia Saudita. Il paese del Golfo, uno dei principali produttori di petrolio e di prodotti petrolchimici al mondo, è accusato di non aver cambiato di una virgola la sua posizione iniziale. E quindi di non star negoziando in buona fede.
Non è certo l’unico paese a ostacolare il trattato globale che dovrebbe mettere fine all’inquinamento da plastica (e non ci provano solo gli Stati: CIEL ha identificato 221 lobbisti dell’oil&gas a Busan). Ma le regole dei negoziati Onu – proprio come per il processo delle COP – danno il potere di veto a tutti gli Stati: si deve procedere per consenso. A Busan, la situazione è così critica che la delegazione di Panama ha proposto direttamente di non seguire più la regola del consenso.
Trattato globale sulla plastica, in alto mare
L’ultima bozza non fa molto per sciogliere i nodi che dividono i paesi produttori di idrocarburi e dei precursori per i prodotti plastici, da quelli più ambiziosi e che subiscono di più il peso dell’inquinamento da plastica. Il testo è ancora pieno di opzioni alternative: tutte le proposte avanzate dai paesi sono ancora sul tavolo, di compromessi non c’è quasi traccia.
- Nonostante quasi 3 anni di incontri e negoziati, non c’è ancora una definizione condivisa di plastica né di inquinamento da plastica né di prodotto di plastica né di rifiuto di plastica. Le definizioni in ballo sono, rispettivamente, 8, 5, 4 e di nuovo 5.
- Manca una definizione univoca del perimetro del trattato. Restano cioè in piedi sia le opzioni massimaliste, suggerite peraltro dalle stesse agenzie Onu, che chiedono di affrontare anche la produzione di plastica introducendo delle limitazioni (è l’articolo 6). Ma anche le opzioni minimaliste, che vogliono solo potenziare il riciclo (cancellando interamente l’articolo 6).
- Non c’è intesa neppure su quali dovrebbero essere i principi cardine di questo trattato globale sulla plastica. Tre le opzioni inserite nell’ultima bozza: da quella che mette al primo posto il principio “chi inquina paga” a quella che rivendica il diritto di ciascun paese a sfruttare come meglio crede le proprie risorse naturali.