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La Corte Europea sullo smog, l’Italia ha violato il diritto Ue sulla qualità dell’aria

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Foto di Schwoaze da Pixabay

di Tommaso Tetro

(Rinnovabili.it) – L’Italia ancora una volta sotto scacco per lo smog. Per l’Europa siamo fuorilegge sulla qualità dell’aria. La Corte di Giustizia Europea ha emesso il suo verdetto: il nostro Paese ha violato, tra il 2008 e il 2017, in maniera sistematica e continuata i valori limite concessi rispetto alle concentrazioni di PM10, le cosìdette polvere sottili. Non soltanto questo. Perché la Corte ci bacchetta nel modo peggiore, ricordandoci che avremmo dovuto mettere a punto un Piano, che avremmo dovuto attuare quel Piano in un periodo di tempo relativamente breve e che invece le misure – decise soltanto recentemente – da portare avanti potrebbero addirittura esser messe a punto 20 anni dopo l’entrata in vigore delle regole sulla qualità dell’aria introdotte in Europa. Una situazione che ha portato la Corte a esprimersi sul nostro Paese come se fosse abituata ad aspettarsi promesse e non fatti, come se non ci fosse un tempo entro cui attuare le misure di miglioramento della qualità dell’aria, e come se potessimo chiedere sostanzialmente una specie di proroga “sine die”.

La decisione non dovrebbe sorprenderci, dal momento che per l’Italia sono ora aperte tre procedure di infrazione aperte: quella sulle PM10, quella sul biossido di azoto (su cui è stato avviato un ricorso alla Corte), e quella sulle polveri super-sottili PM2,5. La Corte ha chiuso infatti – con questa sentenza – il primo ciclo della procedura d’infrazione iniziata dalla commissione Europea nel 2014. Ed ha fatto presente come l’Italia non abbia manifestamente adottato, in tempo utile, misure adeguate per garantire il rispetto dei valori limite fissati dalle norme Ue sull’inquinamento dell’aria. La commissione Europea aveva deferito l’Italia alla Corte a maggio del 2018.

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Non si fa attendere la reazione del ministro dell’Ambiente Sergio Costa che effettivamente ammette come la sentenza “non ci colga di sorpresa, visti i dati su cui è basata e che sono incontrovertibili alla prova dei fatti”. Secondo il ministro proprio i “dati, benché si fermino al 2017, indicano un problema che purtroppo non è ancora risolto. Fin dal mio insediamento ho messo in campo tutti gli strumenti possibili, in accordo con le Regioni. Credo che questa pronuncia debba essere uno stimolo per tutto il Governo a far di più e meglio, per garantire nel più breve tempo possibile un ambiente più salubre a tutti i cittadini”.

Nella sentenza la Corte Europea non ha dato importanza al fatto – come invece richiesto dal nostro Paese – che l’estensione delle aree di superamento dei limiti sia limitata, e che siano soprattutto concentrate nella pianura padana; senza riguardare invece tutto il territorio nazionale. Per i giudici infatti aver superato il valore del limite sul PM10 anche in una sola zona è motivo sufficiente per dichiarare un inadempimento della direttiva sulla qualità dell’aria. Guardando bene quanto rilevato dalla Corte è possibile rintracciare una gran varietà di vizi (e virtù?) italiane che nel giudizio espresso hanno però a che fare con lo smog, e con quello soltanto…

Alcuni di questi vale la pena citarli testualmente, così come riportati dalla nota ufficiale: “La Corte ricorda che, in caso di superamento di detti valori limite dopo il termine previsto per la loro applicazione, lo Stato membro interessato è tenuto a redigere un piano relativo alla qualità dell’aria che risponda ai requisiti di detta direttiva, segnatamente a quello di prevedere le misure adeguate affinché il periodo di superamento di tali valori limite sia il più breve possibile”. Su questo la Corte mette in evidenza che “se è pur vero che un tale superamento non è sufficiente di per sé per dichiarare l’inadempimento agli obblighi incombenti agli Stati membri, e che essi dispongono di un certo margine discrezionale per la determinazione delle misure da adottare, tali misure devono tuttavia, in ogni caso, consentire che il periodo di superamento sia il più breve possibile”.

Ed è così che “nella specie la Corte dichiara che l’Italia non ha manifestamente adottato, in tempo utile, le misure in tal senso imposte”. Per sostenere questa affermazione viene fatto riferimento “agli elementi che risultano dal fascicolo” in cui è evidente che “il superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per le PM10 è rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni nelle zone interessate, che, nonostante il processo inteso a conseguire tali valori limite, in corso in Italia, le misure previste dai piani per la qualità dell’aria sottoposti alla Corte, segnatamente quelle intese a indurre cambiamenti strutturali (specificamente con riguardo ai fattori principali di inquinamento), per una grande maggioranza di esse sono state previste solo in tempi estremamente recenti e che molti di questi piani dichiarano una durata di realizzazione degli obiettivi relativi alla qualità dell’aria che può essere di diversi anni, se non addirittura di due decenni dopo l’entrata in vigore” dei valori limite. Questo – secondo la Corte – dimostra “di per sé, che l’Italia non ha dato esecuzione a misure appropriate ed efficaci affinché il periodo di superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10 sia il più breve possibile”.

Ma c’è anche un carico ulteriore: “mentre l’Italia riteneva indispensabile disporre di termini lunghi affinché le misure previste nei diversi piani relativi alla qualità dell’aria potessero produrre i loro effetti”, per la Corte “al contrario un siffatto approccio si pone in contrasto sia con i riferimenti temporali posti dalla direttiva per adempiere gli obblighi sia con l’importanza degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente”. Il concetto – espresso con un’adeguata dose di europeismi – è che non si può rimandare in continuazione fino a chissà quando: “Infatti, pur riconoscendo che l’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva non può imporre che le misure adottate da uno Stato membro garantiscano il rispetto immediato di tali valori limite per poter essere considerate adeguate”, la Corte rivela che “l’approccio dell’Italia si risolverebbe nell’ammettere una proroga generale, eventualmente sine die, del termine per rispettare tali valori”.

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Di fronte a questa decisione della Corte Ue, Costa prova a difendere il nostro Paese. Ci tiene a ricordare le iniziative che ministero e governo hanno messo in campo, “negli ultimi due anni per a ristabilire livelli di qualità dell’aria entro i limiti posti dalle direttive europee”: in particolare quella di giugno 2018 a Torino con il Clean air dialogue insieme con la commissione Europea da cui è scaturita l’istituzione di un gruppo di lavoro presso la presidenza del Consiglio dei ministri per affrontare il tema coinvolgendo “trasversalmente tutte le amministrazioni centrali e i rappresentanti delle amministrazioni territoriali”. Inoltre vengono anche menzionati gli accordi con Lazio, Umbria, Toscana e Sicilia, e il prossimo con la Campania, “proprio per affrontare con strumenti operativi e fondi” la questione che “investe specifiche aree di queste regioni. Il decreto legge Clima dello scorso novembre ha individuato una serie di misure ad hoc e iniziative per promuovere stili di vita più sostenibili, come l’acquisto di scuola bus green, la riforestazione urbana, e il buono mobilità nelle grandi città”.

Ed è anche in programma “lo stanziamento di un fondo pluriennale per 800 milioni di euro a partire dal 2020 al 2034 e di 40 milioni l’anno dal 2035 per l’abbattimento delle emissioni”. E non resta fuori neanche il Recovery plan: “Una componente del Piano nazionale di ripresa e resilienza – spiega Costa – conterrà misure con l’obiettivo di ripristinare livelli adeguati di qualità dell’aria”.

Intanto, è in arrivo un’interrogazione rivolta proprio al ministro dell’Ambiente, presentata dalla vicepresidente della commissione Ambiente alla Camera Rossella Muroni, con l’obiettivo di “conoscere i dati più recenti relativi alle concentrazioni di PM10, le attuali criticità riscontrate e le iniziative in cantiere o già intraprese contro inquinamento e smog”. E sempre Muroni chiede che sia realizzato “un serio Piano contro l’inquinamento e per la mobilità sostenibile, soprattutto nelle nostre città. Interventi necessari anche per contrastare la crisi climatica e per i quali vanno sfruttate al meglio le risorse del Recovery fund. Non si può che partire, oltre che dalle fonti rinnovabili, da un potenziamento del trasporto pubblico e condiviso, dalla scommessa su mezzi più puliti e sull’innovazione tecnologica, oltre da una maggiore efficienza nel riscaldamento. Ovvero la green economy – conclude Muroni – che risponde al problema e offre allo stesso tempo una soluzione alla crisi economica, producendo lavoro sano e migliaia di di nuovi posti di lavoro”.

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