Il rilascio dell’acqua radioattiva di Fukushima dichiarato inevitabile per mancanza di spazio ulteriore per stoccarla a terra
(Rinnovabili.it) – Il governo giapponese ha deciso: tra 48 ore inizierà il rilascio dell’acqua radioattiva di Fukushima in mare. La centrale nucleare, colpita da una combinazione di terremoto e tsunami nel 2011, non ha ancora risolto i suoi problemi dopo oltre dodici anni.
Ogni giorno nel sito contaminato nel nord-est del Giappone vengono raccolti circa 100 mila litri di acqua radioattiva, proveniente dal raffreddamento dei reattori dell’impianto danneggiato. Ad oggi questo ha portato allo stoccaggio di 1,34 milioni di tonnellate di acqua contaminata, pari a oltre 500 piscine olimpiche. L’acqua si trova in 1000 container di acciaio, una soluzione che doveva essere temporanea in attesa di trovare un modo per risolvere il problema una volta per tutte. Quel modo non è stato trovato, e ora le autorità dichiarano che lo spazio nei container è finito. Nel 2021, dopo anni di discussioni, il Giappone ha deciso per il rilascio dell’acqua radioattiva di Fukushima in mare, nella quantità di 500 mila litri al giorno per trent’anni. Un tubo lungo 1 km verrà utilizzato per trasportare il materiale nell’Oceano Pacifico. Il piano ha l’approvazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).
La TEPCO, azienda che gestisce la centrale nucleare, afferma di aver adottato uno speciale sistema di filtraggio che ha rimosso elementi radioattivi come cesio e stronzio, ma non il trizio. Si tratta di un isotopo radioattivo dell’idrogeno con un periodo di dimezzamento di circa 12 anni. Tuttavia, l’azienda sostiene di aver diluito l’acqua al punto che la radioattività oggi è di 1.500 becquerel per litro (Bq/L), dentro lo standard di sicurezza nazionale di 60 mila Bq/L.
Un piano contestato
Secondo Greenpeace Giappone, queste affermazioni sono fuorvianti. L’associazione contesta la decisione perché “ignora le prove scientifiche, viola i diritti umani delle comunità in Giappone e nella regione del Pacifico e non è conforme al diritto del mare”.
Gli ambientalisti sostengono che lo spazio per continuare a stoccare l’acqua contaminata ci sarebbe, ma il governo avrebbe scelto la via del rilascio in mare per la fretta di smantellare la centrale. “Si perpetua il mito secondo cui gli scarichi sono necessari per lo smantellamento”, dice Shaun Burnie, esperto di Greenpeace East Asia. “Lo stesso governo giapponese, però, ammette che a Fukushima c’è spazio sufficiente per immagazzinare l’acqua. Lo stoccaggio a lungo termine smentirebbe però l’attuale tabella di marcia del governo per lo smantellamento. Tuttavia, questo è esattamente ciò che deve accadere. La centrale nucleare di Fukushima è ancora in crisi, con rischi unici e gravi, e non esiste un piano credibile per il suo smantellamento”.
Uno smantellamento che ancora richiede di portare a termine dei passaggi chiave, come la rimozione dei detriti radioattivi e del combustibile nucleare dai tre reattori andati in fusione nel 2011. La TEPCO prevede di utilizzare dei robot per rimuovere il carburante, ma i livelli di radiazioni nell’impianto potrebbero essere così elevati da mandare in tilt le macchine. In questa costante incertezza, anche tempi e costi sono un punto interrogativo. Sembra che l’intero processo di dismissione richiederà 3-4 decenni e costerà 55 miliardi di euro.
La preoccupazione dei paesi vicini
Intanto, la preoccupazione per il piano del governo giapponese di rilascio delle acque radioattive travalica i confini. Manifestazioni di protesta sono state organizzate a Seul, in Corea del Sud, dalla popolazione impaurita. La Cina ha invece accusato il Giappone di trattare l’Oceano come la sua “fognatura privata”, mentre Hong Kong ha dichiarato che limiterà immediatamente le importazioni di prodotti giapponesi.