RSE ha analizzato la qualità dell’aria in Lombardia, mettendo in luce un’importante lezione per la mobilità
(Rinnovabili.it) – In quasi tutto il mondo, l’emergenza coronavirus è stata affrontata attraverso un lockdown che ha portato alla chiusura di molte attività produttive e all’attuazione di misure di confinamento. Questa brusca decelerata ha avuto delle immediate conseguenze sulla riduzione delle emissioni inquinanti, specie se legate al trasporto stradale. Un report di RSE – Ricerca sul Sistema Energetico ha analizzato gli effetti sulla qualità dell’aria in Lombardia.
Lo studio ha considerato in particolare il biossido d’azoto (NO2), inquinante legato al traffico veicolare. Su base annuale, secondo i dati ARPA Lombardia, il 51% di questo inquinante viene prodotto sul territorio regionale, e il 65% dipende dal traffico della città metropolitana di Milano. La categoria degli ossidi azoto è stata scelta proprio perché fortemente dipendente dal trasporto, rappresentando così un ottimo indicatore per mettere in diretta correlazione il lockdown e gli effetti sulla qualità dell’aria.
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Il confronto fra le condizioni attuali dell’aria in Lombardia e le precedenti misurazioni di biossido d’azoto rilevate dalle centraline di ARPA ha evidenziato una netta diminuzione dei livelli di concentrazione in aria soprattutto nel mese di marzo. Ma lo studio di RSE non si è limitato a mettere a confronto i dati. Infatti, attraverso un’analisi dei modelli meteorologici, che hanno evidenziato una certa omogeneità tra il 2018, il 2019 e il 2020, si è potuto confermare che il miglioramento della qualità dell’aria fosse dovuto a “l’effetto lockdown”.
Secondo il report, durante il periodo di maggiore restrizione le riduzioni di concentrazioni di NO2 sono state pari a circa il 30%. Ciò corrisponde a un calo di circa 20 µg/m3 nelle aree di massimo inquinamento. Quello che emerge, dunque, è che un’importante riduzione degli inquinanti – con conseguente miglioramento della qualità dell’aria – si verifica se le riduzioni del traffico arrivano a percentuali superiori al 70%.
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Secondo RSE, questo dato dice molto ai responsabili delle politiche per la mobilità: “le strategie per il contenimento degli inquinanti devono essere fondate su una sostanziale riduzione della mobilità nel suo complesso e non attraverso provvedimenti spot o confinati entro porzioni limitate di territorio”, si legge del report.
Gli autori suggeriscono un approccio di ampio respiro che parta dalla riduzione del “bisogno complessivo di mobilità”. Come? Promuovendo, ad esempio, politiche di lavoro agile o incentivando la digitalizzazione. “Ridurre le necessità di spostamento significa indirizzare il mondo del lavoro verso soluzioni di smart working, digitalizzare i servizi delle Pubbliche Amministrazioni e riprogettare gli spazi urbani secondo il concetto di prossimità dei servizi”, spiega Filippo Colzi di RSE. “Interventi obiettivamente complessi, per i quali è necessario coinvolgere moltissimi soggetti e modificare abitudini consolidate, sia a livello personale sia a livello di gestione urbana e industriale”.
Contemporaneamente l’azione dovrebbe favorire la modalità di spostamento a basso impatto come bici, mobilità condivisa e mezzi pubblici. Un ulteriore beneficio, suggeriscono gli autori, deriverebbe dalla sostituzione delle auto attualmente in circolazione con mezzi elettrici.
“L’esperimento presentato nel dossier ci ha permesso di cogliere un’opportunità nascosta nell’emergenza COVID-19, immaginando che la drastica riduzione del traffico non derivasse da una situazione di crisi bensì da politiche di mobilità, finalizzate a ridurre l’inquinamento atmosferico”, ha aggiunto Guido Pirovano. “Il bagaglio di conoscenze e informazioni preziose che ne deriva permetterà, anche grazie alla stretta collaborazione con altri attori pubblici come AMAT e ARPA, di sviluppare politiche di miglioramento della qualità dell’aria sempre più efficaci e adeguate, sia a livello locale che in contesti territoriali più estesi”.