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Nel Mediterraneo un pesce su tre ha mangiato plastica

plastica mediterraneo
Credits: COMMON

(Rinnovabili.it) – Un pesce su tre, nel Mediterraneo, ha ingerito plastica. Lo ha fatto più della metà delle tartarughe marine. La fauna del nostro mare è messa alla prova da una presenza sconcertante di plastica: su 90.000 oggetti raccolti sulle spiagge, circa il 20% (17mila) erano mozziconi di sigaretta; 6.000 i cotton-fioc. 

Questi i dati diffusi nel corso della Conferenza Finale di COMMON, (COastal Management and MOnitoring Network for tackling marine litter in Mediterranean sea), tenutasi ieri e oggi a Tunisi. Il progetto europeo, avviato alla fine del 2019, ha coinvolto Italia, Libano e Tunisia in una serie di azioni di raccolta, analisi e sensibilizzazione in cinque aree pilota, con lo scopo di affrontare il problema dei rifiuti nel mar Mediterraneo. 

L’80% dei rifiuti nel Mediterraneo è di plastica

L’80% dei rifiuti presenti nel Mar Mediterraneo e sulle sue coste è di plastica: almeno un pesce su tre l’ha mangiata, come hanno mostrato le analisi su 700 individui di sei diverse specie ittiche. Anche più della metà delle tartarughe del Mare Nostrum ha ingerito frammenti di plastica. Difficile calcolare con certezza gli impatti sulla biodiversità: il problema non è solo l’ingresso della plastica nella catena alimentare marina ma anche i possibili effetti tossici dei materiali che alla plastica sono stati aggiunti. 

Per elaborare un quadro chiaro dello stato del nostro mare l’Unione Europea, attraverso il programma ENI CBC MED, ha erogato un finanziamento di 2.2 milioni di euro per il progetto COMMON, che ha coinvolto Legambiente, l’Università di Siena,  il CIHEAM Bari, l’Istituto Nazionale di Scienze e Tecnologie del Mare di Tunisi e l’Università di Sousse per la Tunisia e l’ONG libanese Amwaj of the Environment e la riserva naturale di Tyre, per il Libano.

La conferenza finale, tenutasi ieri e oggi al Carthage Hotel di Tunisi, ha visto l’intervento di Giorgio Zampetti, Direttore Generale di Legambiente, che ha ricordato: «Sebbene il nostro mare sia più piccolo degli oceani Atlantico e Pacifico, è uno degli hotspot di biodiversità più importanti al mondo, ma purtroppo anche uno dei maggior sei, nel mondo, per quanto riguarda la concentrazione di plastiche in mare. Uno dei maggiori ostacoli al contrasto di questo fenomeno è rappresentato dalla presenza di legislazioni e regole nazionali troppo complesse e poco uniformi tra loro. Per questo, con il progetto COMMON, abbiamo promosso l’adozione di politiche comuni tra i paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo, perché, è importante ribadirlo, il problema del marine litter va affrontato agendo a livello internazionale, con un’azione congiunta e coordinata dei singoli stati».

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Serve coordinamento nelle attività di monitoraggio del mare e delle coste

Le attività del progetto sono state dispiegate in cinque aree pilota: la Maremma e il Salento in Italia, le Isole Kuriate e Monastir in Tunisia e la riserva naturale di Tyre in Libano, dove sono stati effettuati monitoraggi dei macro e micro rifiuti sulle spiagge e sulla superficie del mare, ma anche di quelli ingeriti dai mitili e dalle specie di pesce di interesse commerciale o dall’alto valore ecologico come le tartarughe. 

I risultati hanno mostrato che dei 90mila reperti analizzati, circa il 25% era costituito da mozziconi, il 9% da frammenti tra i 2,5 e i 50 cm, il 7% da cotton-fioc. Il 53% dei rifiuti proveniva da oggetti usa e getta o monouso. L’area più colpita dalla presenza di microplastiche è il Libano: la riserva di Tyre risulta più esposta nella stagione delle piogge, a dimostrazione del fatto che la contaminazione da plastica deriva dalle attività antropiche, le cui conseguenze si riflettono nei nostri fiumi. I ricercatori riportano gran parte delle responsabilità dell’inquinamento da plastica nel Mediterraneo al turismo e alle attività ricreative delle coste.

Le aree pilota di COMMON hanno ospitato un calendario di workshop e incontri con i diversi stakeholder e visto l’elaborazione di campagne e attività di sensibilizzazione. Il progetto ha però anche avuto un versante operativo, con lo sviluppo e l’applicazione di protocolli comuni di monitoraggio della plastica nel Mediterraneo, per valutare gli impatti sulla marine litter e definire, di conseguenza, il quadro di azioni più efficaci da mettere in campo. 

Le evidenze prodotte dimostrano, secondo gli organizzatori, la necessità di introdurre cooperazione e condivisione anche nelle attività scientifiche di monitoraggio e raccolta dati: serve che i protocolli di campionamento e analisi siano uniformati a livello mediterraneo in accordo con il quadro di riferimento già esistente della Convenzione di Barcellona e della Direttiva Quadro della Strategia Marina Europea.

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Un pesce su tre ha mangiato plastica, come più della metà delle tartarughe

Analisi approfondite sono state condotte anche sulla fauna marina, in particolare sui tratti gastrointestinali di più di 700 pesci provenienti da 6 diverse specie di ampia diffusione commerciale: Engraulis encrasicolus (anchovy), Sardina pilchardus (sardine), Sardinella aurita (alaccia), Boops boops (boga), Mullus barbatus (red mullet), Lythognathus mormirus (Momora).

I monitoraggi hanno confermato che la media di un esemplare su tre ha ingerito microplastica, ma il progetto ha contribuito anche all’introduzione di un metodo innovativo di analisi basato sull’individuazione di organismi sentinella: i Mullus Barbatus e Sardina Pilchardus, essendo specie presenti in tutte le aree pilota, si sono dimostrate fondamentali per la comparazione dei dati. 

Quali sono gli impatti della contaminazione di plastica sulla marine litter del Mediterraneo? Diversi, secondo gli organizzatori del progetto, e dipendono dalle dimensioni dei frammenti. In alcuni casi gli esemplari marini restano intrappolati nelle reti da pesca o in oggetti galleggianti; quando i frammenti sono più piccoli si verifica l’ingestione, che può portare a malnutrizione, soffocamento, ostruzione dell’intestino e inedia, senza contare l’alterazione delle vie metaboliche e dei sistemi endocrini collegata alla liberazione degli additivi applicati sulle plastiche, spesso tossici come i composti organoclorurati ftalati. 

La Caretta Caretta, l’esemplare di tartaruga più diffuso nel Mediterraneo, è stata individuata come prezioso indicatore dello stato di salute del nostro mare, così come stabilito dal programma IMAP (Integrated Monitoring and Assessment Programme of the Mediterranean Sea and Coast). In più di 140 esemplari provenienti dalle aree pilota c’è stata un’ingestione di plastica tra il 40 e il 70% dei casi, con una netta prevalenza in aree maremmane. Maria Cristina Fossi, docente dell’Università di Siena, e partner del progetto COMMON e Plastic Busters CAP, ha sottolineato che «Il progetto COMMON, si propone come un esempio unico, a livello Mediterraneo, di capitalizzazione delle metodologie di monitoraggio sviluppate in iniziative precedenti (per esempio il progetto Interreg-Med Plastic Busters MPAs) e una loro implementazione attraverso azioni mirate di diagnosi e mitigazione, sinergicamente attuate nelle due sponde del Mediterraneo, come auspicato dall’Unione del Mediterraneo attraverso l’iniziativa Plastic Busters».

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La sensibilizzazione degli “utenti del mare”

Le attività dispiegate nell’ambito di COMMON hanno incluso anche un fitto calendario di eventi riservati alla sensibilizzazione di principali “utenti del mare”: pescatori, stabilimenti e operatori economico-turistici della costa, amministratori di città costiere, studenti, società civile, e altre organizzazioni.

268 i pescatori che hanno partecipato ai workshop sugli impatti delle loro attività per la marine litter e sulla gestione dei rifiuti raccolti durante la pesca; 80 gli operatori turistici coinvolti anche nella campagna estiva Beach CLEAN, che ha sensibilizzato turisti e frequentatori di spiagge di 230 stabilimenti balneari. Tra le attività del progetto anche Clean Up The Med, l’iniziativa di pulizia volontaria delle spiagge che, ormai alla sua trentesima edizione, ha coinvolto più di 2.000 persone in 20 paesi del Mediterraneo, che hanno raccolto 10 tonnellate di rifiuti su una superficie complessiva di 24mila km di costa. 

I Local Working Group hanno incluso i diversi stakeholder e policy makers delle aree pilota: l’obiettivo era formare professionisti e addetti ai lavori in grado di gestire i rifiuti costieri, specie in plastica, nell’area del Mediterraneo, e metterli in rete tra loro favorendo così lo scambio delle buone pratiche raccolte nella piattaforma COMMON. 

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