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Le nanoplastiche uccidono i pesci: lo dimostra uno studio Enea

Studio Enea ha evidenziato correlazione tra morte di pesci, quali orata e trota iridea, e la presenza di nanoplastiche nelle acque

Nanoplastiche uccidono i pesci: lo dimostra uno studio Enea
Fonte Pexels

Di nanoplastiche si può morire. Quelli, che fino ad oggi, erano solo sospetti da parte di ricercatori e scienziati, ora sono una certezza. La conferma proviene da Enea, che in una pubblicazione ha dimostrato la correlazione tra la morte delle cellule di animali marini, nello specifico orata e trota iridea, e nanoplastiche di polistirene (polistirolo).

La ricerca, condotta in collaborazione con Cnr e Università della Tuscia e pubblicata sulla rivista Science of the Total Environment, ha evidenziato che 20 nanometri di queste particelle di plastiche, di una grandezza molto piccola, stiamo parlando di una misura cento volte più piccole di un granello di polvere, hanno danneggiato le cellule, in modo anche più grave rispetto a nanoplastiche da 80 nanometri, più grandi quindi, ma pure sempre misure estremamente piccole.

Perché le nanoplastiche portano alla morte

Ma cosa è successo, al punto da portare alla morte questi pesci molto comuni, che finiscono spesso sulle nostre tavole? A rispondere Paolo Roberto Saraceni, ricercatore del Laboratorio ENEA Biotecnologie RED e coautore dello studio, secondo il quale “le particelle di plastica si sono attaccate alle membrane delle cellule, causando cambiamenti visibili nella loro forma e struttura, con tracce già evidenti dopo 30 minuti di esposizione. Solo le nanoplastiche da 20 nanometri hanno danneggiato gravemente le cellule nel tempo, portandole a una morte cellulare programmata. I primi segni evidenti di questo processo includevano il restringimento della cellula, la formazione di protuberanze sulla membrana, l’esposizione della fosfatidilserina (una molecola essenziale per il funzionamento della cellula) sulla superficie esterna della membrana, chiaro segnale di agonia della cellula, fino alla frammentazione del DNA”.

Nanoplastiche, ecosistema marino a rischio

I risultati emersi da questo studio sono molto importanti, perché sono tra i primi a sottolineare una connessione evidente tra l’inquinamento da plastica e la morte di pesci, perché nelle acque finiscono quantità infinite di particelle invisibili, inghiottite dai pesci che le immettono nella catena alimentare anche di noi esseri umani.

La salute degli ecosistemi acquatici e terrestri, con il loro relativo impatto sulla salute umana, è strettamente interconnessa e può venire drammaticamente compromessa dalla diffusione dell’inquinamento da nanoplastiche se non affrontato con la dovuta tempestività”.

Lo studio di Enea e Cnr ha identificato i possibili meccanismi alla base del danno ai tessuti biologici causato dalle nanoplastiche, attraverso l’applicazione di sistemi biotecnologici innovativi e lo sviluppo di modelli sperimentali animal free avanzati. Da questi modelli, infatti, sono derivati dati riproducibili che permetteranno di condurre studi su larga scala.

Inquinamento da plastica triplicato nel 2060

Nel 2022, sono state prodotte oltre 400 milioni di tonnellate di plastica che secondo stime più recenti raddoppierà nei prossimi 20 anni, fino a triplicare entro il 2060, secondo i dati di Plastic Europe; a questo si aggiunge la difficoltà nella gestione dei rifiuti plastica, visto che solo il 9% è riciclato, il 19% incenerito e il resto finisce in discariche o siti di smaltimento non controllati.

Altre stime, riferiscono che più di 171 trilioni di particelle di plastica finiscono nell’ambiente marino, degradandosi in frammenti più piccoli: purtroppo il polistirene è una delle materie plastiche non biodegradabili più comuni che contribuisce all’inquinamento ambientale, è “tra le più frequentemente trovate negli organismi marini, presenta una tossicità significativamente maggiore rispetto ad altri polimeri testati. La sua potenziale tossicità per gli organismi acquatici e gli ecosistemi rimane una preoccupazione e, per questo, servono ulteriori ricerche per indagare su scala più ampia gli effetti a lungo termine”.

Patologie dei pesci collegate alle nanoparticelle di plastica

Le nanoparticelle di plastica sono visibili solo al microscopio e con dimensioni inferiori a 1000 nanometri, ossia circa 50-100 volte più piccole del diametro di un capello, ma solo in anni recenti hanno fatto scattare il campanello d’allarme della comunità scientifica, perché è stato dimostrato che possono attraversare membrane biologiche, come quella intestinale e la barriera emato-encefalica (struttura protettiva che separa il sangue dal tessuto nervoso del cervello e del sistema nervoso centrale). Ora se la scienza ha dimostrato la correlazione tra nanoplastiche e morte di queste due specie di pesci, il prossimo grande passo, sarà lo studio sull’organismo umano.

Aggiunge Saraceni di ENEA:“Le nanoparticelle possono causare effetti come tossicità cellulare, neurotossicità, genotossicità (capacità di una sostanza chimica o di un agente fisico di danneggiare il materiale genetico di una cellula, cioè il DNA) stress ossidativo, alterazioni metaboliche, infiammazioni e malformazioni nello sviluppo delle specie marine, ma i meccanismi cellulari e molecolari alla base di questi impatti non sono ancora completamente compresi”.

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About Author / Paolo Travisi

Ancora prima che giornalista, curioso per natura. Ha iniziato a scrivere per mestiere nel 2004, dapprima in tv, poi su giornali nazionali e web. Appassionato di scienza e tecnologia (ma non solo), ama scoprire nuovi argomenti di cui poter scrivere ed imparare. In questa avventura per Rinnovabili si occupa in particolare di economia circolare e mobilità sostenibile, e realizza i contenuti video per i social.