La prossima settimana l’International Seabed Authority (ISA), l’ente ONU che regola gli aspetti legati ai fondali oceanici, potrebbe dare luce verde allo sfruttamento dei giacimenti di minerali a 3-5.000 metri di profondità. Anche se i possibili impatti su questi ecosistemi sono in larghissima parte sconosciuti
Sono già 30 le licenze emesse per lo sfruttamento delle miniere sottomarine
(Rinnovabili.it) – Le profondità degli oceani sono l’ultimo ecosistema inviolato rimasto sul Pianeta. Aprirle allo sfruttamento commerciale senza sapere quali potrebbero essere gli impatti a breve e lungo termine è una mossa sbagliata e miope. Per questo è necessaria una moratoria globale sulle miniere sottomarine. È l’appello lanciato da Deep Sea Conservation Coalition, una coalizione di oltre 100 organizzazioni non governative, a pochi giorni dall’inizio del vertice ONU che potrebbe dare il via libera al deep sea mining.
Lo sfruttamento delle risorse presenti sui fondali oceanici tra i 3 e i 5.000 metri di profondità è l’ultima frontiera dell’estrazione mineraria. Un territorio inesplorato – si estende per il 95% del volume degli oceani – che fa gola a stati e aziende. Vi si trovano infatti giacimenti, anche molto ingenti, di metalli e minerali indispensabili per la transizione. Nickel, rame, cobalto, manganese, litio, terre rare, racchiusi in noduli polimetallici dall’aspetto simile a “campi di patate”.
L’impatto delle miniere sottomarine
Ma le operazioni necessarie per sfruttarli potrebbero avere ripercussioni sui fondali e sull’intera colonna d’acqua, oltre a impatti a lungo raggio legati al sollevamento di sedimenti e all’inquinamento acustico. “L’estrazione mineraria in mare è una delle principali questioni ambientali del nostro tempo, e questo perché il mare profondo è tra le ultime aree incontaminate del nostro pianeta”, ha affermato Sofia Tsenikli, della Deep Sea Conservation Coalition.
Sono pochi, finora, gli studi che hanno tentato di valutare quali potrebbero essere i costi ambientali delle miniere sottomarine. Le difficoltà di accesso fisico alle grandi profondità oceaniche aggiungono un livello di complessità alla comprensione di questi ecosistemi. Le ricerche esistenti hanno però sottolineato delle criticità importanti. Che dovrebbero essere approfondite prima di rischiare di compromettere flora e fauna.
Secondo le ong, il deep sea mining “ha il potenziale per distruggere l’ultima zona selvaggia della Terra e mettere in pericolo il nostro più grande deposito di carbonio, dimostrandosi né tecnicamente né finanziariamente fattibile”, aggiunge Bobbi-Jo Dobush della Ocean Foundation. Finora sono solo 21 gli stati che hanno chiesto una moratoria globale. L’ISA, invece, propende per il via libera e ha già assegnato una 30 di licenze.