(Rinnovabili.it) – L’Università della California ha pubblicato un nuovo studio che collega le microplastiche che inquinano gli oceani con una serie di parassiti che comportano malattie e degradano gli ecosistemi. Gli agenti patogeni, infatti, sarebbero in grado di “agganciare” le particelle polimeriche e farsi traghettare da queste ultime negli oceani. La loro presenza in questi ecosistemi ne determinerebbe quindi il deterioramento, con tutte le conseguenze sulle condizioni di salute umane del caso. La ricerca è stata pubblicata il 26 aprile sulla rivista Scientific Reports.
Karen Shapiro, tra gli autori del paper, spiega come sia facile per le persone bollare il problema della plastica come “non importante. Dire ‘Io non sono una tartaruga nell’oceano; questo oggetto non può soffocarmi'”. Ma “Una volta che si inizia a parlare di malattie e salute, c’è più potere di attuare un cambiamento. Le microplastiche possono effettivamente muovere i germi, e questi germi finiscono nella nostra acqua e nel nostro cibo”.
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L’autostop dei parassiti
I patogeni studiati sono Toxoplasma gondii, Cryptosporidium (Crypto) e Giardia. Si tratta di parassiti che possono infettare sia esseri umani sia animali e che, a quanto pare, possono utilizzare le microplastiche come mezzi di trasporto per giungere nelle profondità marine. Microorganismi riconosciuti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come concause o cause di malattie da consumo di molluschi e si trovano in tutto l’oceano.
I risultati dello studio mostrano come questi parassiti, a bordo delle microplastiche, sono giunti in luoghi in cui, normalmente, non sarebbe stato possibile arrivassero. Toxoplasma gondii, per esempio, si trova normalmente nelle feci dei gatti ma è riuscito a infettare molte specie oceaniche.
Crypto e Giardia sono invece parassiti che generano malattie gastrointestinali; viaggiando sulle microplastiche e arrivando negli oceani possono entrare nella nostra catena alimentare con rischi mortali per bambini e soggetti immunocompromessi.
“Questo è un problema che riguarda sia gli esseri umani che gli animali”, ha detto la prima autrice Emma Zhang, una studentessa veterinaria del quarto anno presso la UC Davis School of Veterinary Medicine. “Sottolinea l’importanza di un approccio One Health che richiede la collaborazione tra le discipline umane, faunistiche e ambientali. Tutti dipendiamo dall’ambiente marino.”
Ogni microplastica trasporta i parassiti in luoghi diversi
Secondo la ricerca le particelle plastiche facilitano il viaggio dei diversi parassiti in maniera differente, a seconda della loro capacità o meno di galleggiare. Gli scienziati hanno esaminato il comportamento di microsfere di polietilene e microfibre di poliestere. Le prime si trovano in prodotti per la cura come esfolianti o detergenti, le seconde invece nell’abbigliamento e nelle reti da pesca.
Sebbene entrambi i tipi di plastica siano vettori di parassiti, lo studio ha mostrato che questi ultimi viaggiano “più comodamente” sulle microplastiche derivanti dai residui tessili, potendo arrivare a percorrere distanze più lunghe.
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“Questo lavoro dimostra l’importanza di prevenire le sorgenti di microplastiche nei nostri oceani”, ha detto la co-autrice Chelsea Rochman, esperta di inquinamento da plastica e assistente professore di ecologia presso l’Università di Toronto. “Le strategie di mitigazione includono filtri sulle lavatrici, filtri sugli essiccatori, celle di bioritenzione o altre tecnologie per il trattamento delle acque piovane e migliori pratiche di gestione per prevenire il rilascio di microplastiche dalle industrie della plastica e dai cantieri edili”. Allo studio hanno partecipato anche ricercatori dell’Università del Nebraska. La ricerca è stata finanziata dal programma Ocean Protection Council e California Sea Grant, con il sostegno finanziario degli studenti della UC Davis School of Veterinary Medicine Students Training in Advanced Research (STAR).