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La carta d’identità delle microplastiche disperse nell’oceano

I campioni prelevati nella colonna d’acqua del vortice dell’Atlantico meridionale, nel settore subtropicale, rivelano 244 frammenti per metro cubo per le microplastiche più piccole (<100µm)

Microplastiche: nuovo studio quantifica i frammenti nell’intera colonna d’acqua
Foto di Pexels da Pixabay

Le microplastiche sono frammenti più piccoli di 5 millimetri

(Rinnovabili.it) – Le grandi “isole di plastica” che galleggiano negli oceani sono solo una parte dell’inquinamento marino. Se si scende lungo la colonna d’acqua, più in profondità, si incontrano ammassi di microplastiche. Che finora sono completamente sfuggiti alle stime e mettono a repentaglio anche altri strati degli ecosistemi marini.

Uno studio della Florida Atlantic University ha provato ad assegnare una dimensione al problema. Il team di ricerca ha analizzato la colonna d’acqua interessata dal South Atlantic Subtropical Gyre, il vortice dell’Atlantico meridionale tra Africa e Sudamerica, uno dei sistemi regionali delle correnti oceaniche.

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I risultati variano moltissimo a seconda del calibro dei frammenti. Le microplastiche sono genericamente definite come pezzi di materie plastiche di dimensioni inferiori ai 5 millimetri, ma maggiori di 0,1 micrometro. I dati raccolti mostrano che i frammenti più piccoli, inferiori ai 100 micrometri, sono in media 244,3 per ogni metro cubo di acqua. Le microplastiche più grossolane, invece, sono molto meno presenti: circa 2,5 frammenti al metro cubo, due ordini di grandezza in meno.

“Le piccole microplastiche sono diverse dalle grandi microplastiche per quanto riguarda la loro elevata abbondanza, la natura chimica, il comportamento di trasporto, le fasi di invecchiamento, le interazioni con gli ambienti ambientali, la biodisponibilità e l’efficienza di rilascio degli additivi plastici”, spiega Shiye Zhao, primo autore dello studio. E sono più pericolose per gli ecosistemi, visto che per le loro dimensioni possono entrare nella catena alimentare attraverso il plankton.

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Un risultato decisamente interessante riguarda la provenienza di queste microplastiche. La maggior parte dei frammenti più piccoli derivano da due fonti. Primo, le resine alchidiche, utilizzate nella maggior parte dei rivestimenti commerciali a base di petrolio come le vernici per gli scafi delle navi. Secondo, la poliammide, comunemente utilizzata nei tessuti come l’abbigliamento e le corde e le reti da pesca. Insieme costituiscono più del 65% del totale dei campioni raccolti dallo studio.

Componenti del tutto diverse da quelle che si trovano nelle microplastiche di superficie, che sono tipicamente dominate da polimeri galleggianti come il polietilene usato per le pellicole da imballaggio e le borse della spesa, e il polipropilene usato per i contenitori di plastica e le bottiglie d’acqua riutilizzabili.