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Cosa serve per ridurre i livelli di microplastiche negli oceani?

Uno studio apparso su Environmental Research Letters calcola che anche tagliando ogni anno del 20% l’inquinamento da plastica nel mondo, sulla superficie degli oceani continuerebbero a galleggiare microplastiche fin dopo il 2100. Ma tagliarlo del 5% l’anno basterebbe per invertire la tendenza attuale e stabilizzarne i volumi

Microplastiche negli oceani: tagliare l’inquinamento del 5% le stabilizza
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Ai ritmi di oggi, nel 2040 le microplastiche negli oceani possono aumentare di 2,6 volte

Servono obiettivi di riduzione molto ambiziosi e un cambiamento radicale a livello di industria per ridurre l’inquinamento da microplastiche negli oceani. Ma anche tagliando in modo sostanziale la produzione di plastica e riducendo la quota che finisce in mare, i frammenti di polimeri plastici più piccoli di 5 millimetri continueranno a galleggiare in superficie per molti decenni.

Ciò non significa che intervenire sia inutile. “La plastica è ormai ovunque nell’ambiente e l’oceano non fa eccezione. Mentre i nostri risultati mostrano che le microplastiche saranno presenti negli oceani oltre la fine del secolo, stabilizzarne i livelli è il primo passo verso l’eliminazione”, spiega Zhenna Azimrayat Andrews, prima autrice di uno studio pubblicato su Environmental Research Letters che fornisce una prospettiva utile per i negoziati sul trattato globale sulla plastica che sono in corso sotto l’egida dell’Onu. L’anno scorso, uno studio aveva calcolato che ai ritmi di produzione e inquinamento di oggi, nel 2040 le microplastiche negli oceani possono aumentare di 2,6 volte.

Come possiamo almeno stabilizzare le microplastiche negli oceani?

Il gruppo di ricercatori ha analizzato 8 scenari di riduzione della plastica, calcolandone l’impatto effettivo sui livelli di microplastiche negli oceani fino al 2100. La cattiva notizia è che nessuna traiettoria, per quanto ambiziosa, riesce a eliminare davvero questo tipo di inquinamento in tempi relativamente brevi. Perché?

I modelli messi a punto e testati in questo studio tengono conto dell’interazione tra microplastiche e biologia marina, in particolare della tendenza dei frammenti a creare agglomerati con il fitoplankton o con gli escrementi prodotti dallo zooplankton. La quantità di microplastiche e le loro proprietà tende a far galleggiare questi agglomerati, rallentandone la discesa nelle parti inferiori della colonna d’acqua. Più restano in superficie, più i frammenti plastici hanno la probabilità di introdursi nelle catene trofiche, cioè di essere ingeriti da pesci e altre forme di vita marina, a loro volta consumate dall’uomo.

Tenendo conto di questa dinamica, i ricercatori hanno stabilito che per stabilizzare i livelli di microplastiche negli oceani bisogna ridurre l’inquinamento da plastica del 5% l’anno a livello globale. Per abbatterli, però, anche le traiettorie più ambiziose ci mettono diversi decenni. Ad esempio, riducendo l’inquinamento del 20% l’anno, anche dopo il 2100 resterebbero microplastiche sulla superficie degli oceani. E, in ogni caso, si accumulerebbero sui fondali e nelle profondità oceaniche, dove il loro impatto è ancora in larga parte sconosciuto.

“Non potrà mai esserci una rimozione completa delle microplastiche da tutte le profondità dell’oceano, dobbiamo solo conviverci adesso”, sottolinea Azimrayat Andrews. “Ma l’attuale produzione globale di inquinamento da plastica è così grande che anche una riduzione annuale dell’1% dell’inquinamento farebbe una grande differenza nel complesso”.

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