Le microplastiche derivano dalla disintegrazione della plastica. I minuscoli frammenti sono ovunque, ed entrano perfino nella catena alimentare. In mare creano un substrato ideale per la proliferazione di batteri potenzialmente pericolosi anche per l’uomo che il riscaldamento delle acque renderà più competitivi
Le microplastiche nel Mar Tirreno
La dissoluzione delle microplastiche in mare è fonte di così tanti problemi per l’ambiente, e per l’ecosistema marino in particolare, che francamente non si sentiva la mancanza di altro.
Invece una ricerca condotta dall’Istituto di Ricerca sulle acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Verbania (CNR-Irsa) in collaborazione con l’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna (Svizzera) e Texas A&M University (Stati Uniti)ha dimostrato che c’è dell’altro.
Lo studio rientra nel progetto “AENEAS” finanziato da AXA Foundation. I risultati sono pubblicati nella rivista “Marine Pollution Bullettin”.
Cosa sono le microplastiche?
Le microplastiche sono minuscoli pezzi di plastica con un diametro inferiore a 5 mm che derivano dal disfacimento di oggetti di vario tipo, dalle buste alle bottiglie, dai giocattoli agli imballaggi per alimenti, a tantissimi altri oggetti di uso comune. Le nanoplastiche sono ancora più piccole: misurano appena 0,001 mm.
Essendo frammenti così piccoli, le microplastiche sono ovunque: non solo in mare – come già sappiamo – ma anche nei suoli, nel cibo che mangiamo e nell’acqua che beviamo.
Sono così tante perché ogni anno finiscono in mare tra i 5 e i 12 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. Gli scienziati hanno calcolato che negli oceani di tutto il mondo siano finiti 150 milioni di tonnellate di plastica. Di questo passo, nel 2050 in mare ci sarà più plastica che pesci.
Le microplastiche si disintegrano ma non scompaiono. I pesci ingeriscono questi minuscoli frammenti, che entrano nella catena alimentare fino ad arrivare nei nostri piatti: l’uomo, infatti, è l’ultimo anello della catena alimentare.
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Qual è l’impatto sulla nostra salute?
L’esposizione alle microplastiche è un problema globale, ma i suoi effetti sono ancora oggetto di numerosi studi. È intuitivo dedurre, però, che non giovano alla salute.
Già negli anni scorsi altri studi hanno valutato l’assunzione di microplastiche attraverso gli alimenti, l’inalazione, l’esposizione chimica; gli effetti dell’accumulo però sono ancora incerti.
Nei pesci e nei mammiferi marini si è visto che porta all’infertilità o alla morte per malnutrizione: mangiano più microplastiche che pesci.
Diminuire questa invasione dipende anche da noi, dalla nostra attenzione nell’evitare l’uso di plastica inutile nel nostro quotidiano e soprattutto nel non abbandonarla in giro.
Accumulo di microplastiche e proliferazione batterica
Il gruppo di studiosi ha svolto un’indagine sia in mare aperto nelle acque del Mar Tirreno, sia nei siti costieri di Forte dei Marmi (Lucca) e delle Cinque Terre (La Spezia).
La cosiddetta marine snow è un insieme di particelle naturali composto da alghe, piante acquatiche, zooplancton (residui di pesci e altri animali) e fitoplancton dove proliferano colonie di batteri. Le particelle di plastica creano un ulteriore substrato ideale per i batteri.
Spiega Gianluca Corno di CNR-Irsa: «Nel nostro studio abbiamo prima quantificato la presenza di microplastiche e di particelle organiche di origine naturale, quindi abbiamo analizzato le comunità batteriche presenti su entrambi i substrati e la presenza di resistenze ad antibiotici e metalli pesanti.
In particolare, abbiamo rilevato che la maggior parte delle particelle di microplastica non seleziona “nuovi” batteri – non si generano cioè, dal punto di vista microbiologico, nuovi inquinanti – ma offre un supporto addizionale su cui proliferano comunità batteriche molto simili a quelle presenti sulle particelle naturali.
Tali comunità, che rivestono le particelle sotto forma di sottilissimi biofilm, sono molto diverse da quelle che vivono in acqua, e comprendono anche specie patogene per gli esseri umani o per gli animali, come Vibrio, Alteromonas, Pseudoalteromonas.
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Quali sono i rischi delle microplastiche in mare?
Ad oggi, il rischio batteriologico legato a infezioni provocate da batteri patogeni che crescono in acqua di mare è relativamente basso, soprattutto in mari estremamente poveri di nutrienti e in acque fredde, che limitano la crescita di queste specie batteriche».
Tuttavia, la situazione sta rapidamente cambiando a causa del riscaldamento climatico: «Le acque sempre più calde dei nostri mari daranno a questi batteri un grande vantaggio ecologico, perché li renderanno più competitivi rispetto ai batteri marini non-patogeni, come si è già visto con il forte incremento di infezioni causate da specie patogene, tra cui Vibrio, nelle acque costiere dell’America Settentrionale.
Tra essi, infatti, rientrano anche specie patogene per gli esseri umani che, oltre a rappresentare un pericolo per persone e animali, possono compromettere attività come la balneazione e in generale l’uso dell’acqua.
Se a questo fenomeno aggiungiamo la già massiva presenza di microplastiche, substrati ideali che aumentano la disponibilità di micro-habitat adatti a tali batteri, la loro proliferazione sarà ulteriormente favorita».
Dalle coste al mare aperto
Ci sono differenze tra i campionamenti in mare aperto e quelli sulle coste? Non significative, spiega Costa, perché «il Tirreno, e il Mediterraneo in generale, subiscono un impatto antropogenico significativo da tempo. Pertanto, la quantità di plastica e microplastica presente, e la relativa età media delle particelle, è molto alta, riducendo le differenze tra siti di recente contaminazione e quelli invece meno esposti alle stesse. A questo contribuiscono anche le correnti superficiali che, nel Tirreno, tendono a mescolare rapidamente le acque».