Testata la presenza di microplastiche nel sangue nei campioni di 22 persone
(Rinnovabili.it) – Che le nano e microplastiche abbiano ormai raggiunto la nostra alimentazione è cosa nota. Diversi studi hanno dimostrato come ogni essere umano in media ne ingerisca 50mila l’anno, inalandone almeno la stessa quantità. D’altra parte la diffusione di questo inquinate non conosce confini. Dalle fosse oceaniche fino alle alture più remote dei Pirenei, la plastica si è fatta rapidamente strada e oggi contamina acqua, aria e prodotti alimentari.
Ma una volta rientrata nella nostra quotidianità in una forma impossibile da percepire ad occhio nudo, qual è il suo destino? Il tema è vasto è per lo più inesplorato. Ma oggi un team di scienziati ha dimostrato per la prima volta la presenza di microplastiche nel sangue umano.
Il lavoro, guidato dall’ecotossicologa Heather Leslie e dalla chimica analitica Marja Lamoree, è attualmente unico nel suo genere, per i risultati raggiunti. Il team, parte del progetto Immunoplast, ha messo a punto un nuovo metodo analitico per stabilire la presenza di cinque diversi polimeri nel circolo sanguigno. Il processo, applicato al sangue di 22 donatori anonimi, ha dato risultati sconcertanti. Tre quarti dei soggetti testati sono risultati positivi alla presenza di minuscoli frammenti di plastica.
Nel dettaglio la concentrazione complessiva di microparticelle nei 22 donatori è stata in media di 1,6 µg/ml. Una quantità, spiegano gli scienziati, paragonabile a un cucchiaino di plastica in 1.000 litri di acqua. PET, polietilene e polimeri di stirene, i polimeri più diffusi nei campioni di sangue, seguiti dal poli(metil metacrilato).
“Abbiamo finalmente dimostrato la presenza di microplastiche nel sangue, il nostro fiume vitale per così dire”, ha sottolineato Leslie. “Questo set di dati – ha aggiunto la collega Lamoree – è il primo del suo genere e deve essere ampliato per ottenere informazioni su quanto sia diffuso l’inquinamento da plastica nel corpo degli esseri umani e quanto possa essere dannoso“. La ricerca è apparsa sulla rivista Environment International (testo in inglese).