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L’inquinamento atmosferico riduce di tre anni le aspettative di vita

L'esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e respiratorie e accorcia l’aspettativa di vita di circa 3 anni. È un nuovo studio condotto a livello globale e pubblicato su Cardiovascular Research a indicarlo

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I danni sanitari dell’inquinamento atmosferico a livello globale

(Rinnovabili.it) – L’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico aumenta notevolmente il rischio di malattie cardiovascolari e respiratorie. Un nuovo studio pubblicato su Cardiovascular Research e basato su numerose ricerche precedenti, ha fornito un set di dati aggiornato e su scala globale dedicato alle conseguenze dell’esposizione al particolato fine (PM2.5), confrontandolo con altri fattori di rischio. E le conclusioni non sono affatto rassicuranti: la durata della vita umana a causa dell’inquinamento atmosferico si riduce di tre anni, più di quanto non accada per il fumo di tabacco. 

I ricercatori hanno però sottolineato che un anno di vita potrebbe essere recuperato se le emissioni di combustibili fossili fossero ridotte a zero, mentre se si riducesse tutto l’inquinamento atmosferico controllabile, ossia tutto ciò che non è naturale, come gli incendi o la polvere trasportata dal vento, l’aspettativa di vita globale potrebbe aumentare di oltre 20 mesi.

Lo studio quindi confermache l’inquinamento atmosferico generato dai combustibili fossili si qualifica, da solo, come un importante fattore di rischio globale per la salute” infatti conferma i circa 8,8 milioni di morti precoci all’anno in tutto il mondo causati dall’aria inquinata. La stima è doppia rispetto a quelle precedenti e il co-autore Prof Jos Lelieveld del Max Planck Institute for Chemistry sottolinea come il dato sia “abbastanza inaspettato”. Lo studio ha utilizzato un modello innovativo che unisce l’impatto delle PM2.5 sul corpo umano e l’effetto dell’ozono, analizzando i livelli di esposizione a questi inquinanti e i conseguenti dati su popolazione e mortalità umana per il 2015. Grazie a questi modelli il team di ricerca ha calcolato la percentuale di morti precoci che potrebbero essere attribuite all’inquinamento atmosferico, dividendole in sei categorie e comprendendone una anche per le malattie non trasmissibili, come l’ipertensione e il diabete.

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A livello globale i risultati mostrano come si perdano in media 2,9 anni di aspettativa di vita a causa dell’inquinamento atmosferico. Altri fattori di rischio – va ricordato – sono impattanti, ma non a tali livelli: il fumo di tabacco fa perdere 2,2 anni in media; la violenza 0,3; l’HIV 0,7. Attualmente, quindi, una riduzione dell’inquinamento atmosferico potrebbe evitare oltre 5,5 milioni di morti premature ogni anno e a livello globale.

I ricercatori sottolineano però che vi sono variazioni significative in base a regioni o paesi, infatti tali riduzioni salverebbero 2,4 milioni di vite all’anno nell’Asia orientale, facendo guadagnare alla popolazione 3 dei 3,9 anni di aspettativa di vita persi a causa dell’inquinamento atmosferico. Diversamente in Africa le morti precoci evitate sarebbero 230.000 e in Australia ancora meno. Lo studio indica infatti che sono molti i fattori da tenere in considerazione: ad esempio, nel continente africano, l’inquinamento dell’aria è soprattutto dovuto alla polvere portata dal vento. 

Per quanto riguarda le cause specifiche di queste morti premature al primo posto vi sono le cardiopatie coronariche che rappresentano oltre il 28% della perdita di aspettativa di vita, con quasi 2,8 milioni di morti all’anno in tutto il mondo. Invece cancro polmonare, malattie polmonari croniche e infezioni respiratorie causano circa 2,6 milioni di decessi prematuri ogni anno. Infatti sebbene “il polmone sia il principale bersaglio dell’inquinamento atmosferico che causa infiammazione e quindi polmonite, si verifica una trasmigrazione di particelle nel flusso sanguigno e nei vasi sanguigni” con conseguente accumulo nelle arterie di queste particelle, come ha ricordato il prof. Thomas Münzel del Centro medico universitario di Magonza in Germania, coautore dello studio. Diviene dunque necessario, secondo Münzel, includere nelle linee guida ufficiali dei fattori di rischio per le malattie cardiovascolari proprio l’inquinamento atmosferico

Rimane il fatto che lo studio, oltre a basarsi su un numero limitato di dati forniti da alcuni paesi, analizzi solamente due inquinanti atmosferici. Il professore di statistica applicata alla Open University, Kevin McConway, ha affermato che l’incertezza del set di dati non chiarisce se l’inquinamento atmosferico sia effettivamente un fattore di rischio più grande del tabacco, ma certamente gli si avvicina anche per la percentuale molto maggiore di persone che inala l’inquinamento atmosferico rispetto al fumo delle sigarette.

Anche i ricercatori hanno sottolineato le grandi incertezze nei risultati, ma al contempo, come ha affermato Münzel, è necessario che i governi prendano provvedimenti seri al riguardo, infatti “il 91% della popolazione globale respira aria inquinatacome notato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e i limiti per l’Europa sono “incredibilmente alti”. I risultati “implicano che la sostituzione dei combustibili fossili con fonti di energia pulite e rinnovabili potrebbe ridurre notevolmente la perdita di aspettativa di vita a causa dell’inquinamento atmosferico”. 

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