
L’inquinamento da microplastiche potrebbe portare sulla soglia della carestia 400 milioni di persone in più nei prossimi 20 anni. Come? “Spegnendo” la capacità produttiva delle piante. I frammenti di materiali plastici di dimensioni inferiori ai 5 millimetri, infatti, sono in grado di ridurre la fotosintesi del 7-12%.
È la conclusione a cui arriva uno studio pubblicato su PNAS che passa al vaglio 3.286 dataset globali e tenta di dare una stima, globale e con dettagli regionali, delle conseguenze dell’accumulo di microplastiche nelle colture. Integrando queste previsioni con stime sul calo della produzione ittica, a loro volta basate sul calo della fotosintesi nelle alghe.
L’impatto dell’inquinamento da microplastiche sulla sicurezza alimentare
Lo studio stima perdite annuali pari al 4,11-13,52% della produzione globale di cereali a causa dell’interferenza tra inquinamento da microplastiche e fotosintesi. Con variazioni significative da regione a regione. Negli oceani, la riduzione della produttività primaria (-0,31/-7,24%) si traduce in una perdita di 1,47-34,15 milioni di tonnellate di carbonio fissato annualmente.
“Questa riduzione causerà una perdita annuale compresa tra 109,73 e 360,87 milioni di tonnellate per la produzione agricola e tra 1,05 e 24,33 Mt per la produzione ittica”, calcolano gli autori dello studio.
Che impatto avrebbe una riduzione realistica dell’inquinamento da microplastica, come quello che potrebbe generare un buon accordo in sede ONU nei negoziati sul trattato globale sulla plastica? I ricercatori calcolano che riducendo gli attuali livelli di microplastica dispersa nell’ambiente del 13%, le perdite alimentari potrebbero essere mitigate. Il calo della produttività legata alla riduzione della fotosintesi diminuirebbe di circa il 30%. Evitando una perdita globale da 22,15 a 115,73 milioni di tonnellate l’anno nella produzione delle principali colture. E tra 0,32 e 7,39 milioni di tonnellate l’anno nella pesca.
Stime, queste, su cui però parte della comunità scientifica invita a guardare con la dovuta diffidenza. Perché lo studio, per quanto pionieristico, adotta delle semplificazioni che potrebbero incidere molto sulle stime finali. Non tutte le microplastiche, a seconda della dimensione e del tipo di materiale, hanno lo stesso impatto sulla capacità fotosintetica delle piante.