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L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di demenza?

La meta-analisi pubblicata sulla rivista dell’American Academy of Neurology ha comparato studi sull’esposizione all’inquinamento atmosferico da particolato e ricerche sul rischio di demenza, individuando una possibile correlazione tra i due fattori

Mal'aria di città 2021
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Per ogni µg/m3 di esposizione a polveri sottili, il rischio aumenta del 3%

Potrebbe esserci una correlazione tra l’inquinamento atmosferico e il rischio di insorgenza di demenza: uno studio comparato pubblicato sulla rivista medica dell’American Academy of Neurology individua una associazione tra l’esposizione al particolato fine e lo sviluppo della malattia neurodegenerativa.

La meta-analisi mette a confronto tutti gli studi attualmente disponibili sull’inquinamento atmosferico e sul rischio di insorgenza di demenza e individua una possibile correlazione nei casi di contatto con il particolato fine – PM 2.5 -, presente in particelle di diametro più piccolo di 2,5 micron nell’aria inquinata dal traffico.

“Mentre le persone continuano a vivere più a lungo, condizioni come la demenza stanno diventando sempre più comuni, in modo da rilevare e comprendere i fattori di rischio prevenibili è la chiave per ridurre l’aumento di questa malattia”, ha detto l’autore dello studio Ehsan Abolhasani della Western University di London, Canada. “Da una relazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è emerso che oltre il 90% della popolazione mondiale vive in aree con livelli di inquinamento atmosferico superiori a quelli raccomandati. I nostri risultati forniscono ulteriori prove per l’applicazione delle normative sulla qualità dell’aria e l’accelerazione della transizione dai combustibili fossili alle energie sostenibili”.

L’inquinamento atmosferico provoca l’insorgenza di demenza?

Lo studio è un’analisi comparata di 17 ricerche svolte su un gruppo di persone di un’età media superiore ai 40 anni. La somma di uomini e donne coinvolti in tutti gli studi restituisce un dato che riguarda più di 91 milioni di persone: 5,5 milioni di queste hanno sviluppato demenza.

Tenendo conto di una serie di fattori che possono determinare l’insorgenza della malattia come età, sesso, educazione o abitudini come il fumo, l’indagine mostra dunque che nel 6% dei casi l’esposizione al particolato fine potrebbe avere una relazione con l’insorgenza di demenza.

Il dato è corroborato dal fatto che le persone che non hanno sviluppato la malattia erano quelle con un’esposizione giornaliera media a inquinanti atmosferici più bassa rispetto a quelle in cui invece la demenza si era manifestata.

A partire dai dati della U.S. Environmental Pollution Agency (EPA), che attestano un’esposizione media annuale di 12 microgrammi per metro cubo, gli scienziati autori della meta–analisi hanno scoperto che per ogni microgrammo per metro cubo di esposizione a polveri sottili, il rischio aumenta del 3%.

Lo studio, secondo gli autori, necessita di un approfondimento e di comparare una mole maggiore di materiali, ma se non è possibile istituire una correlazione tra esposizione all’inquinamento atmosferico da PM2.5 e sviluppo della demenza, è certamente possibile rilevare che ci sia una relazione tra i due fattori: “Mentre la nostra meta-analisi non dimostra che l’inquinamento atmosferico provoca demenza, mostra solo un’associazione, la nostra speranza è che questi risultati consentano alle persone di assumere un ruolo attivo nella riduzione della loro esposizione all’inquinamento”, ha detto Abolhasani. “Comprendendo il rischio di demenza attraverso l’esposizione all’inquinamento atmosferico, le persone possono adottare misure per ridurre la loro esposizione come l’uso di energia sostenibile, scegliendo di vivere in aree con livelli più bassi di inquinamento e sostenendo la riduzione dell’inquinamento del traffico nelle aree residenziali”.

Gli autori del paper hanno incrociato anche i dati dell’esposizione ad altri inquinanti come biossido di azoto e ozono, rilevando che, in assenza di particolato, queste classi di inquinanti tipiche dello smog non determinano un aumento significativo del rischio.