E' possibile decontaminare un ambiente dagli PFAS attraverso l’utilizzo di biomasse di scarto: un progetto dell’Università di Ferrara, ha mostrato come neutralizzare gli inquinanti utilizzando materiali destinati allo smaltimento
(Rinnovabili.it) – L’inquinamento da PFAS, sostanze perfluoro alchiliche, è tra i più insidiosi perché si tratta di composti persistenti e in grado di penetrare nell’organismo umano mettendo a rischio la salute.
Queste sostanze sono interferenti endocrini la cui contaminazione è caratterizzata da una forte pervasività. Gli PFAS hanno infatti a un elevato grado di solubilità in acqua, e quindi si insinuano nelle falde e contaminano campi e prodotti agricoli, entrando così nella catena alimentare.
Si tratta di sostanze il cui utilizzo è ampiamente diffuso in ambito industriale: a partire dagli anni ‘50 sono stati impiegati per molti prodotti legati alla diffusione del commercio di massa come impermeabilizzanti per tessuti o rivestimenti antiaderenti per pentole e contenitori per il cibo, ma anche tappeti, pelli, vernici o detersivi e cere per i pavimenti.
Soltanto recentemente però si è cominciato a parlare degli impatti dell’inquinamento da PFAS sulla salute umana. In Italia, in particolare, il tema è divenuto di dominio pubblico a partire dalle denunce di grave contaminazione di molte città e territori del Nord Est del nostro Paese.
Decontaminare le aree inquinate da PFAS con biomasse di scarto
Uno studio finanziato con i fondi del 5×1000 dell’Università di Ferrara ha lavorato alla neutralizzazione di questi inquinanti attraverso l’utilizzo di scarti alimentari destinati allo smaltimento.
Tatiana Chenet, ricercatrice del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione e coordinatrice del progetto, ha spiegato: “Il nostro obiettivo è di valorizzare la neutralizzazione di PFAS utilizzando biomasse di scarto destinate allo smaltimento, in un’ottica di economia circolare”.
A fornire i materiali per la decontaminazione è Naturedulis, un’azienda di Goro che si occupa di acquacoltura e depurazione di molluschi: tra gli scarti individuati figurano infatti i gusci di conchiglia. I materiali forniti passeranno al vaglio dei ricercatori che ne valuteranno prima l’efficienza nel processo e vi svolgeranno test tossicologici, lo step successivo, una volta convalidati, sarà invece una valutazione sulla fattibilità economica.