Oggi l’anniversario del meltdown agli impianti di Fukushima del 2011
(Rinnovabili.it) – Ore 14:46 dell’11 marzo, il Giappone si ferma. Un minuto di silenzio nel decimo anniversario del disastro nucleare di Fukushima. Nel 2011 avvenne il triplo meltdown degli impianti della centrale di Dai-chi, gestita dalla Tepco. L’incidente fu causato da uno tsunami che travolse la costa giapponese, a sua volta originato da un terremoto di magnitudo 9 sulla scala Richter.
Fukushima volta pagina?
Yoshihide Suga ha visitato Fukushima sabato scorso. Il neo premier giapponese ha provato a lanciare un messaggio di speranza ai suoi concittadini. “Restiamo sulla buona strada per revocare l’ordine di evacuazione”, ha assicurato. “Stiamo lavorando per creare un ambiente che consenta a coloro che sono fuggiti in altre aree di tornare”. Il governo di Tokyo ha provato per anni a tranquillizzare la popolazione riguardo alle radiazioni. A parte l’area a ridosso della centrale il resto è sicuro: questa la linea dell’esecutivo, che nel tempo ha iniziato a togliere gli ordini di evacuazione.
Su questo punto Suga può contare sul fresco appoggio dell’Onu. Un rapporto rilasciato il 9 marzo sostiene che non sono stati documentati “effetti nocivi sulla salute”, tra i residenti di Fukushima, direttamente collegati alle radiazioni del disastro. Inoltre, qualsiasi futuro effetto sulla salute correlato alle radiazioni è “improbabile che sia distinguibile”, aggiunge il documento. Molti degli sfollati però continuano a non fidarsi. Sono oltre mezzo milione le persone che hanno abbandonato le loro case 10 anni fa a causa del triplo disastro: terremoto, maremoto e meltdown nucleare. Di queste sono 150mila gli sfollati causati dal disastro all’impianto.
E non solo i residenti della prefettura giapponese continuano a restare diffidenti. Il tema dell’impatto delle radiazioni è profondamente controverso. Negli anni, Greenpeace ha portato avanti diverse campagne sul tema. Dalle rilevazioni degli attivisti, molte delle aree che il governo ormai considera sicure risulterebbero ancora contaminate. I livelli di radiazioni rilevati sarebbero superiori ai limiti fissati dal governo per considerare decontaminata e sicura l’area.
Work in progress
Suga ha poi esteso fino al 2031 l’operato dell’Agenzia per la ricostruzione che è stata istituita apposta per riedificare l’area contaminata. Finora queste operazioni hanno drenato 232 miliardi di euro dalle casse statali. Ma il punto che resta al centro delle controversie politiche è quello dei ritardi cronici nel decommissioning degli impianti. E delle difficoltà del processo.
Ancora Greenpeace fornisce un quadro a tinte fosche in due rapporti pubblicati nelle ultime settimane. L’ong evidenzia che “la tabella di marcia per lo smantellamento della centrale è irrealizzabile” e che “serve un nuovo Piano”. Secondo l’associazione “i governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni hanno cercato di ingannare il popolo giapponese, mistificando l’efficacia del programma di decontaminazione e ignorando i rischi radiologici”. E ancora: circa l’85% dell’area speciale è ancora contaminata, dato che smentirebbe la posizione del governo.
Sui tempi Greenpeace sostiene che il piano di Tokyo sia completamente inadeguato: impossibile pensare di chiudere davvero il capitolo in appena 30-40 anni. Finora, in effetti, la Tepco ha incontrato solo problemi e ritardi. Poche settimane fa ha annunciato di aver ultimato la rimozione del corium – il combustibile nucleare fuso – dal reattore n.3 di Fukushima. Una buona notizia, ma i lavori sono iniziati solo nel 2019 con 5 anni di ritardo.
La Tepco mira a finire di estrarre tutti i gruppi di combustibile dagli altri reattori entro la fine del 2031. I lavori al reattore 4 sono stati ultimati nel 2014. Mancano ancora il reattore 1, dove sono sparsi molti detriti nucleari, e il numero 2, dove i livelli di radiazione sono particolarmente alti e quindi le operazioni potrebbero rivelarsi ostiche. Secondo moltissimi osservatori questa tabella di marcia è irrealizzabile. Tra le criticità più pressanti, il destino del milione di tonnellate di acqua contaminata usata per il raffreddamento dei noccioli fusi. Per ora sono stoccate in cisterne a ridosso degli impianti, ma il governo sta valutando di rilasciare l’acqua nell’oceano dopo un trattamento. Che eliminerebbe alcuni – ma non tutti – gli elementi radioattivi, fatto che solleva l’opposizione di ecologisti e dell’industria ittica.
In Giappone il futuro è ancora nucleare
Il disastro di Fukushima non ha fermato il nucleare nel paese. Alcuni impianti sono tornati presto in funzione dopo uno stop generale cautelativo subito dopo l’incidente. Attualmente sono 9 i reattori giapponesi di nuovo in funzione dopo il disastro, altri 6 hanno già passato la revisione e possono essere rimessi in funzione (2 a Kashiwazaki Kariwa, 1 a Mihama, Takahama e Tokai Daini). Infine, 12 reattori sono ancora in revisione.
E il governo ha tutta l’intenzione di riaccenderli visto che punta sull’atomo per alimentare la sua corsa verso la neutralità climatica, promessa entro il 2050. A marzo 2019 il mix elettrico giapponese era ancora ben distante dagli obiettivi fissati lo scorso dicembre per il prossimo decennio: le fossili erano al 77%, le rinnovabili al 17% e il nucleare al 6%. Nel nuovo piano mancano i dettagli per l’energia dall’atomo, ma Suga ha fatto sapere che intende riservargli uno spazio più ampio. Nel vecchio piano del 2018, il nucleare avrebbe dovuto coprire nel 2030 il 20-22% del mix. Praticamente lo stesso ruolo riservato alle rinnovabili.
I giapponesi pare la pensino diversamente. Secondo un sondaggio pubblicato il mese scorso dal quotidiano nipponico Asahi Shimbun, più della metà della popolazione (il 53%) non vuole il riavvio dei reattori. Un terzo invece si dichiara a favore (32%), percentuale che cala al 16% tra gli abitanti di Fukushima.