Russia, Iran, Stati Uniti e Libia registrano gli aumenti di flaring di gas più corposi
Anche se la produzione globale di petrolio è rimasta sostanzialmente stabile, l’anno scorso il flaring di gas è aumentato di circa il 7% rispetto al 2022, passando da 139 a 148 miliardi di metri cubi. Rilasciando in atmosfera ulteriori 23 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Numeri in contraddizione con gli impegni internazionali, che vanno nella direzione di limitare progressivamente il routine flaring, cioè il rilascio di gas estratti come sottoprodotto dell’estrazione di greggio, bruciandoli o immettendoli tal quali in atmosfera.
Flaring di gas, i dati della Banca Mondiale
I dati contenuti nel rapporto Global Gas Flaring Tracker Report della Banca Mondiale rivelano un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni. “L’aumento del flaring di gas è particolarmente scoraggiante in quanto arriva dopo una riduzione attesa da tempo nel 2022. Ciò riporta i livelli globali di gas flaring a quelli che abbiamo sperimentato nel 2019”, sottolinea Zubin Bamji della World Bank. “Ci auguriamo che questa sia in qualche modo un’anomalia e che, a lungo termine, la tendenza a lungo termine sarà caratterizzata da riduzioni drastiche”.
La maggior parte del flaring conteggiato nel rapporto viene rilasciato sotto forma di metano non combusto, il cui potenziale climalterante è oltre 80 volte superiore a quello della CO2 nei primi 20 anni in cui rimane in atmosfera. La maggior parte del flaring è riconducibile a una manciata di paesi. Insieme, Russia, Iran, Iraq, Stati Uniti, Venezuela, Algeria, Libia, Nigeria e Messico sono responsabili di circa il 75% del gas flaring globale. Anche se pesano per meno della metà (il 46%) della produzione globale di petrolio.
L’aumento dei volumi globali registrato dalle rilevazioni satellitari indica che, a livello nazionale e aziendale, gli sforzi per limitare il rilascio di gas associato non riescono usare le giuste leve per modificare il modello di business e l’operatività degli impianti di estrazione. Il gas associato, infatti, potrebbe essere catturato e reimpiegato come materia prima per altri usi industriali con una spesa molto bassa rispetto ai vantaggi che se ne ricaverebbero. Nello scenario Net Zero dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, il flaring deve essere ridotto drasticamente, del 95%, entro il 2030, lasciando una quota residuale solo per il rilascio d’emergenza.