La prossima settimana l’incontro finale dell’IMO sui tagli alle emissioni navali
(Rinnovabili.it) – L’industria delle navi mette le mani avanti: non è colpa nostra se non riusciamo a decarbonizzare il comparto. Mancano alternative serie e percorribili, dice l’International Chamber of Shipping (ICS), il gruppo che riunisce più o meno 4/5 degli operatori commerciali del trasporto marittimo a livello globale. Quindi qualsiasi impegno sul taglio delle emissioni navali da parte delle compagnie è inutile, se i governi non accettano di fare la loro parte.
E’ questo in estrema sintesi il contenuto di un rapporto pubblicato ieri dall’ICS che si intitola Cathalizing the Fourth Propulsion Revolution. Titolo altisonante dietro cui si cela a stento un unico obiettivo: prendere tempo e scaricare l’onere del taglio delle emissioni navali sugli Stati. Non è certo un caso se il documento arriva a meno di una settimana dal prossimo, decisivo incontro dell’IMO. L’Organizzazione marittima internazionale deve decidere in via definitiva i tagli alle emissioni del comparto navale dopo anni di rinvii e ripensamenti.
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Il rapporto dell’ICS è tutto costruito su un trucco argomentativo piuttosto facile da smontare. Parte dalla presa d’atto che la crisi climatica è pressante e quindi il tempo per decarbonizzare il settore navale è poco. Secondo passo, individua nei combustibili a basse emissioni di carbonio (ammoniaca verde e idrogeno) l’unica soluzione realmente efficace per raggiungere l’obiettivo fissato dall’IMO, cioè dimezzare le emissioni navali entro il 2050 rispetto ai valori del 2008.
Un passaggio ancora: l’industria ‘scopre’ con rammarico che al momento attuale questi combustibili non sono ancora disponibili su larga scala. E tenta un mezzo scaricabarile. Vale a dire, l’ICS scrive che ogni sforzo dell’industria è inutile senza adeguati finanziamenti “appoggiati dai governi” per ricerca e sviluppo sui nuovi combustibili.
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La proposta del settore è di formare un fondo globale per R&D da 5 miliardi di dollari. Sarebbe finanziato dall’industria con una tassa di 2 dollari per tonnellata di combustibile acquistato. Ma tra le righe sembra di vedere un tentativo di far sì che anche i governi contribuiscano, con soldi pubblici. Direttamente, in questo fondo, oppure indirettamente cioè incanalando i flussi di denaro dove l’industria navale lo richiede. Il rapporto infatti avverte che il fallimento dei governi nel sostenere l’iniziativa del settore di accelerare la ricerca rischia che “migliaia di miliardi di dollari di investimenti” vengano allocati male, rendendo “impossibile la decarbonizzazione del settore”.
In buona sostanza: non importa quali saranno i tagli alle emissioni navali che saranno decisi settimana prossima in sede IMO, l’industria ha tutta l’intenzione di condividere la colpa di eventuali fallimenti con i governi.