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Disastro di Fukushima: il Giappone nasconde il problema del combustibile nucleare fuso

Entro fine mese Tokyo deciderà se riversare nell’oceano l’acqua contaminata. Ma l’annuncio ha sviato l’attenzione da un problema ancora più intrattabile: come gestire il nocciolo fuso?

Disastro di Fukushima: il Giappone nasconde il problema del combustibile nucleare fuso
Image by Wendelin Jacober from Pixabay

Con lo sversamento in mare dell’acqua contaminata non finiranno i problemi del disastro di Fukushima

(Rinnovabili.it) – L’annuncio del governo giapponese sul rilascio nell’oceano dell’acqua contaminata di Fukushima? Uno specchietto per le allodole. Parola di Greenpeace. Che legge la vicenda come una mossa architettata da Tokyo (anche) per distrarre l’attenzione da problemi almeno altrettanto seri. Il disastro di Fukushima, infatti, non si esaurisce di certo con una soluzione per le acque utilizzate dal 2011 per raffreddare i reattori ed evitare ulteriori fusioni dei noccioli.

Il 16 ottobre scorso, il ministero dell’Ambiente giapponese aveva annunciato l’intenzione di riversare nell’oceano Pacifico più di un milione di tonnellate di acqua irradiata proveniente dall’impianto di Daiichi. Lo spazio per lo stoccaggio si sta esaurendo rapidamente e urge trovare una soluzione. I tre reattori danneggiati richiedono un raffreddamento costante con acqua. Che diventa altamente radioattiva, e si mescola con circa 170 tonnellate di acqua sotterranea che ogni giorno filtra nei livelli sotterranei degli edifici del reattore. Anche se trattata, quest’acqua resta contaminata da trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno.

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Le autorità prenderanno la decisione definitiva entro fine ottobre. Ma i funzionari di Tokyo sembrano aver fatto trapelare prima la loro scelta per testare l’effetto sull’opinione pubblica. E forse anche per sviare l’attenzione dai problemi principali del disastro di Fukushima. Perché un altro, grande problema sono appunto i noccioli che si sono fusi. Che rende completamente irrealistico l’obiettivo del governo di rendere decontaminata l’area entro 40 anni, sostengono diverse organizzazioni ambientaliste.

Le complicazioni maggiori infatti includono il recupero del combustibile fuso fuoriuscito dalle camere del reattore. Questo tipo di recupero non è mai stato tentato prima. E la tecnologia necessaria non esiste ancora. La Tepco negli anni passati è andata incontro a una lunga serie di fallimenti. Anche soltanto nel tentativo di raggiungere, con dei robot progettati appositamente, la camera del nocciolo per verificare la situazione. I livelli di radiazioni erano tali che “friggevano” tutti i macchinari.

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E poi ci sono altri problemi legati alle acque che verrebbero smaltite. “Il governo giapponese ha fatto un ottimo lavoro nel focalizzare l’attenzione dei media e del pubblico nazionale sul trizio che è nell’acqua e sostenendo che non rappresenta un pericolo per l’ambiente”, commenta Shaun Burnie, specialista di Greenpeace in materia di nucleare. Il governo ha spostato l’attenzione dagli altri elementi radioattivi che rimangono nell’acqua anche dopo che è stata “ripulita” dall’Advanced Liquid Processing System (ALPS) in loco.

“L’acqua contaminata contiene molti radionuclidi, che sappiamo avere un impatto sull’ambiente e sulla salute umana, compreso lo stronzio-90”, ha aggiunto Burnie. Documenti interni della Tepco (l’azienda che gestisce gli impianti di Fukushima) trapelati parlano chiaro. Dimostrano che gli sforzi per ridurre i radionuclidi a livelli non rilevabili non hanno eliminato numerosi elementi radioattivi, tra cui iodio, rutenio, rodio, antimonio, tellurio, cobalto e stronzio.