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Al via la class action contro BHP per il disastro ambientale in Brasile del 2015

L'azienda BHP ha sempre negato che la fuoriuscita di rifiuti minerari avesse inquinato il Rio Doce, ma dal 2016 rifornisce di acqua potabile le comunità native che vivono sulle sponde del fiume.

Disastro ambientale in Brasile
Credits: Marcelo Marcelinho da Pixabay

Il colosso minerario BHP va alla sbarra per il più grande disastro ambientale in Brasile

(Rinnovabili.it) – Inizia oggi il processo contro BHP, il colosso minerario anglo-australiano che potrebbe essere ritenuto il principale responsabile di quello che, probabilmente, è il più grande disastro ambientale in Brasile. Nel 2015, una diga di proprietà di BHP e Vale SA è crollata scatenando una fuoriuscita di 44 milioni di metri cubi di rifiuti minerari, che si sono riversati nelle acque del Rio Doce coprendo una distanza di 650 km fino a raggiungere l’Oceano Atlantico.

Per la comunità nativa Krenak, che vive lungo le sponde del fiume nel sud-est del Brasile, il Rio Doce rappresentava la principale fonte di cibo, nonché un importante simbolo culturale e spirituale. Dopo cinque anni, la comunità lotta ancora contro le conseguenze del disastro ambientale in Brasile e, soprattutto, per la sua stessa sopravvivenza. “Uatu è morto”, ha dichiarato a Reuters Djanira Krenak, leader spirituale della comunità Krenak, parlando del fiume Rio Doce.

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Adesso, però, i leader della comunità Krenak si sono uniti in una class action (che conta circa 200 mila persone, tra cui numerose associazioni ambientaliste) contro il gruppo BHP, nella speranza di ottenere un pagamento dei danni per un totale di 6,3 miliardi di dollari. “Non possiamo più mangiare capibara, non possiamo più mangiare uccelli, non possiamo più mangiare miele, perché le api bevono dal fiume. Non possiamo cacciare o pescare”, ha dichiarato Djanira.

BHP ha sempre negato che gli scarti degli sterili fossero tossici e ha contestato le accuse secondo cui la fuoriuscita abbia aumentato i livelli di arsenico, cadmio, mercurio, piombo, rame e zinco già presenti nelle acque del Rio Doce. Alla domanda esplicita sulla possibilità di pescare nel fiume, l’azienda ha affermato che esiste una “restrizione precauzionale alla conservazione” delle specie autoctone per consentire il recupero degli stock ittici, ma non vi sono state restrizioni al consumo di pesce nel Rio Doce.

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Tuttavia, la Fondazione Renova, il soggetto promotore di un piano di risarcimento istituito da BHP, ha speso dal 2016 circa 1,6 miliardi di dollari in aiuti finanziari mensili per circa 130 famiglie Krenak, che ora possono fare affidamento solo sull’acqua fornita dalla Fondazione, volto pubblico del disastro ambientale in Brasile. Attraverso la class action, le comunità native sperano che l’azienda possa essere costretta a risarcire i lavori di risanamento del Rio Doce, così da poter di nuovo accedere all’acqua del fiume e alle sue risorse.