La BHP non sarà processata in UK per il disastro ambientale del 2015
(Rinnovabili.it) – Il processo non si deve tenere in Gran Bretagna, ma in Brasile. Anche se sul banco degli imputati c’è la BHP, gigante minerario anglo-australiano. Anche se quello causato dalla rottura della diga della Samarco, joint venture tra BHP e la brasiliana Vale, è il peggior disastro ambientale della storia del Brasile. Una corte d’appello inglese proclama lo stop alla causa intentata da 200mila cittadini brasiliani colpiti dall’onda di fango arancione.
Nel 2015, il collasso di questa diga, seguito dal crollo a catena di una seconda infrastruttura di contenimento, aveva riversato nel rio Doce circa 60 milioni di metri cubi di residui tossici, resti di lavorazione dell’attività estrattiva. Le dense acque color arancione avevano proseguito poi la loro corsa fino all’oceano, contaminando al loro passaggio ecosistemi terrestri, acquatici e marini per un raggio di 500 km nel sud-est del Brasile.
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L’avvocato Tom Goodhead che rappresenta i 200mila cittadini brasiliani ha parlato di “giornata triste per il sistema della giustizia inglese”. Le aspettative erano alte soprattutto dopo la decisione di un’altra corte britannica meno di due mesi fa, con cui si mandava a processo la Shell in Gran Bretagna per la contaminazione ambientale nel delta del Niger. Sembrava, allora, che fosse infine passato il principio per cui le multinazionali sono responsabili di ciò che fanno le loro controllate locali e non possono scaricare del tutto il peso su quest’ultime.
Ma i giudici hanno ascoltato gli argomenti di BHP, che sostenevano che un processo in UK avrebbe raddoppiato inutilmente le cause in corso, visto che ci sono dei procedimenti ancora aperti in Brasile e che governo e multinazionale hanno dimostrato di poter trovare accordi di compensazione.
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La realtà è un po’ più fumosa. I tribunali brasiliani hanno sì comminato delle multe corpose ai responsabili. Ma le multe non sono mai state pagate. Anzi, le multinazionali hanno seppellito a suon di ricorsi quelle decisioni. Anche sulle compensazioni ci sono molti dubbi. L’accordo è stato tra azienda e governo, tagliando fuori i cittadini. Il timore è che i soldi finiscano in progetti prioritari per il governo e non a supporto delle comunità realmente colpite dal disastro ambientale.