Secondo il tribunale, i dispositivi trucca emissioni sono illegali. Smontata la difesa del colosso tedesco. Nel caso sono coinvolte decine di altre case automobilistiche
La sentenza della Corte europea di giustizia inchioda i produttori per il dieselgate
(Rinnovabili.it) – Dopo 5 anni la Corte europea di giustizia mette la parola fine al dieselgate. La sentenza riconosce che l’illegalità di installare sui veicoli dei dispositivi che falsano sistematicamente i livelli di emissioni durante i test per l’omologazione.
Anche se la sentenza mantiene anonimi tutti gli enti coinvolti, a Bruxelles l’identità della casa automobilistica è il segreto di Pulcinella. Si tratta della Volkswagen, l’azienda da cui era partito lo scandalo da principio. Il colosso tedesco aveva ammesso per primo di aver usato dei software trucca emissioni. Su almeno 11 milioni di auto diesel. Era il settembre del 2015.
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A cosa servivano questi software? A nient’altro che a falsare i test, risponde la Corte, visto che entravano in funzione per modificare le rilevazioni dei fumi emessi. Così il tribunale ha rigettato in toto la linea difensiva di Volkswagen. L’azienda aveva provato a convincere i giudici che il dispositivo al centro del dieselgate serviva in realtà per proteggere i motori dall’usura del tempo.
La parola fine arriva con una frase stringata, che pesa però come un macigno. “Un produttore non può installare un dispositivo di disattivazione che migliora sistematicamente, durante le procedure di approvazione, le prestazioni del sistema di controllo delle emissioni del veicolo e quindi ottenere l’approvazione del veicolo”, recita la sentenza.
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Lo scandalo dieselgate si era presto allargato a molte altre case automobilistiche. Volkswagen non è mai stata l’unica, anzi la prassi di usare questo trucco era piuttosto diffusa. I test indipendenti condotti da Transport & Environment nel 2016 avevano rivelato che quasi tutti i marchi inquinavano più di quello tedesco. Fino a 5 volte oltre il consentito.
E l’Europa è stata a guardare, per anni. Consapevole, e complice. Lo dice la commissione d’inchiesta del parlamento europeo, che ha concluso i lavori nel dicembre 2016. La Commissione sapeva, da tempo. Le prove gliel’aveva fornite il suo centro di ricerca, il Joint Research Center. Ma l’esecutivo UE aveva ignorato tutto. Perché? Secondo la commissione, per non scaricare il peso dello scandalo sull’industria dell’auto.