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Dieselgate, la nuova condanna per Volkswagen dice sì alle compensazioni

Dieselgate: nuovi guai all’orizzonte per Volkswagen
Foto di renehesse da Pixabay

Nuovo capitolo nel dieselgate, lo scandalo iniziato nel 2015

(Rinnovabili.it) – Ennesima condanna per Volskwagen sul caso dieselgate. Questa volta la reprimenda verso la casa automobilistica tedesca arriva dalla Corte di giustizia UE, a cui si era rivolto un gruppo di acquirenti che avevano comprato veicoli tra il 2011 e il 2013.

“Il software dei veicoli diesel che riduce l’efficacia del sistema di controllo delle emissioni a temperature normali per la maggior parte dell’anno costituisce un “defeat device” vietato”, scrive la Corte nella sentenza emessa il 14 luglio. “Poiché tale inadempimento non è di lieve entità, la rescissione del contratto di vendita del veicolo non è, in linea di principio, preclusa. Parole che aprono la porta alle compensazioni.

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Secondo quanto appurato dalla Corte, il software al centro del dieselgate garantisce il rispetto dei limiti stabiliti dall’UE per le emissioni di ossidi di azoto (NOx) solo in una finestra di temperatura ben precisa, quando la temperatura esterna batte tra i 15 e i 33°C. Sotto e sopra questi valori, “il tasso di ricircolo dei gas di scarico (EGR) si riduce in modo lineare fino a zero, il che porta al superamento di tali limiti”.

La sentenza nota che temperature al di sotto dei 15°C sono assolutamente normali in Europa. E che in ogni caso i limiti NOx UE valgono a qualsiasi temperatura. Perciò “il solo fatto che tale dispositivo contribuisca a proteggere parti separate del motore, come la valvola EGR, il raffreddatore EGR e il filtro antiparticolato diesel, non lo rende lecito”. La difesa di Volkswagen sosteneva che il defeat device servisse per proteggere alcune parti del motore dai danni.

Lo scandalo dieselgate è scoppiato nel 2015 e si è progressivamente allargato alle principali case automobilistiche europee. Quasi tutte, infatti, utilizzavano dei software per truccare i test emissivi. Di questo fatto la Commissione UE era a conoscenza almeno 5 anni prima che emergesse pubblicamente, ma non ha preso alcun provvedimento. Un rapporto del Joint Research Centre (JRC), il servizio di ricerca scientifica “interno” della Commissione, avvertiva già nel 2010 dell’esistenza di un dispositivo sospetto e ne descriveva il funzionamento. (lm)

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