Su Cell pubblicato uno studio che monitora un test durato due ore di estrazione di croste di cobalto in Giappone. Anche dopo 12 mesi le popolazioni di pesci e crostacei sono molto ridotte. E non solo nell’area interessata direttamente dalle operazioni
Questa settimana, l’ISA potrebbe sancire il liberi tutti al deep sea mining a livello globale
(Rinnovabili.it) – Dopo le operazioni di estrazione delle croste di cobalto dal fondale marino, le popolazioni di pesci diminuiscono sia nell’area sia in quelle adiacenti, non interessate dall’attività mineraria. Anche se l’estrazione dura pochissimo e riguarda un’area molto ristretta. L’impronta ambientale delle miniere sottomarine, quindi, è decisamente più grande di quanto stimato finora. Lo ha stabilito uno studio apparso su Cell, il primo a monitorare l’impatto reale del deep sea mining e non a basarsi su stime. Altri studi si sono concentrati, di recente, sulla scarsa convenienza economica dell’estrazione di minerali sottomarini.
Il team di ricerca ha seguito le operazioni di test effettuate nel 2020 dal Giappone in corrispondenza della dorsale sottomarina Takuyo-Daigo, un’area ricca di minerali che si trova all’interno della zona economica esclusiva nipponica. Il monitoraggio ha riguardato l’area prima dell’avvio delle operazioni, 1 mese dopo e 13 mesi dopo. Anche dopo un anno, gli effetti del deep sea mining si fanno sentire in modo pronunciato.
L’impatto del deep sea mining: i primi dati
L’estrazione di croste di cobalto è durata appena due ore. Tuttavia, ancora un anno dopo, si riscontra un calo del 43% nella densità delle popolazioni di pesci e crostacei nelle aree interessate dal deposito di sedimenti sollevati dall’estrazione. E un calo del 56% anche nelle aree circostanti.
“Le densità di animali sessili erano simili tra le aree di deposizione e quelle adiacenti per tutta la durata dello studio”, sottolinea lo studio, riferendosi agli organismi agganciati al fondale marino e alle perturbazioni connesse con la ricaduta di sedimenti sollevati dall’attività mineraria.
Al contrario, “l’epifauna mobile era meno abbondante solo nell’area di deposizione dopo il disturbo; e i nuotatori altamente mobili mostravano densità ridotte dopo il test sia nelle aree di deposizione che in quelle adiacenti dopo il disturbo”. In particolare, i pesci possono evitare aree anche al di là della zona di deposizione dei sedimenti. “Forse a causa della creazione di zone di alimentazione non ottimali dovute alla deposizione”, azzarda una spiegazione lo studio.
Via libera alle miniere sottomarine?
Lo studio arriva in un frangente particolarmente delicato per il futuro del deep sea mining. Questa settimana si conclude a Kingston, in Giamaica, un vertice molto importante dell’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA), l’ente collegato all’ONU che si occupa di regolamentare le aree di seabed che non rientrano nella zona economica esclusiva di alcuno stato. Su pressione di alcuni paesi insulari del Pacifico, l’ISA potrebbe dare il via libera al deep sea mining nonostante non esistano valutazioni comprensive dell’impatto su un ecosistema estremamente delicato e molto poco studiato come quello delle profondità oceaniche. Le operazioni delle miniere sottomarine avvengono tipicamente a 3-5mila m di profondità.
Da più parti, incluso lo IUCN, la maggior organizzazione conservazionista al mondo, e diversi paesi europei tra cui Francia e Germania, si chiede una moratoria internazionale. Studi come quello pubblicato su Cell corroborano gli argomenti di chi chiede più cautela prima di dare il via a operazioni con impatti potenzialmente irreversibili.