Memori del fallimento del mercato del carbonio, le associazioni ambientaliste dubitano che i crediti di plastica ridurranno i rifiuti
(Rinnovabili.it) – Mentre i negoziati per un Trattato globale vincolante sulla plastica entrano nel vivo, anche le contraddizioni cominciano ad emergere. È il caso dei crediti di plastica, che si stanno prendendo la scena di questo terzo round di discussioni tra i delegati di 175 paesi. Le trattative dureranno fino alla fine della settimana a Nairobi, per capire come le nazioni partecipanti affronteranno il problema dell’onnipresenza del polimero.
Ogni anno 11 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani e tra i 75 e i 199 milioni di tonnellate hanno già raggiunto questi ecosistemi. Rimuovere tutta questa plastica sarà un compito immane, che richiede denaro e politiche.
Come spesso accade, c’è una via più breve e rischiosa. Quella della finanziarizzazione. Proprio come avviene per le emissioni di carbonio, per le quali le imprese invocano soluzioni di mercato piuttosto che regolamentazioni dure, anche le politiche anti-plastica si trovano in questo contenzioso. Il settore privato chiede di replicare gli schemi adottati con il clima, creando un mercato dei crediti di plastica. Gli investimenti da parte delle aziende in progetti di raccolta dei rifiuti, produrrebbero dei crediti con cui finanziare le infrastrutture di gestione nelle aree scarsamente servite. Un credito di plastica, in sostanza, sarebbe un certificato che rappresenta un determinato ammontare (in peso) di rifiuti di plastica recuperati o riciclati che altrimenti sarebbero finiti nell’ambiente.
Lo spettro della plastic neutrality
Visto ciò che accade con le politiche climatiche – i crediti di carbonio hanno fallito nel ridurre le emissioni – società civile e ambientalisti accolgono molto freddamente la possibile creazione di crediti di plastica.L’obiezione è che mentre la plastica è un bene fisico, il carbonio è un gas. Il primo puoi metterlo su una bilancia, il secondo no. Perciò, le pratiche di greenwashing sarebbero più difficili da attuare. Il WWF avverte però che i crediti di plastica potrebbero incoraggiare pratiche di business-as-usual, in cui le aziende dichiarano di essere “plastic neutral” senza ridurre la plastica nelle loro catene di approvvigionamento. Potrebbero accontentarsi di investire in progetti in luoghi remoti e a basso costo di manodopera, mentre continuano a produrre imballaggi che inquinano. Nel mondo la gran parte dei lavoratori nel settore della raccolta rifiuti non ha un contratto. Gli schemi di certificazione, se dovessero tenere conto del rispetto dei diritti dei lavoratori nei progetti che producono i crediti di plastica, vedrebbero crescere il costo dei certificati. Ma se non lo faranno, rischieranno di avallare situazioni di violazione dei diritti umani.