Un'analisi dettagliata ha dimostrato che questo acido rappresenta oltre il 90% del totale dei PFAS monitorati
Non solo Pfas. O meglio, il TFA è una molecola che appartiene al macrogruppo dei Pfas, uno dei maggiori inquinanti del pianeta. E un rapporto pubblicato oggi da Greenpeace Italia denuncia la carenza di una regolamentazione europea, che ne limiti la contaminazione, quindi i possibili rischi per l’ambiente, ma soprattutto per la saluta umana. Si, perché il TFA è considerata la molecola più diffusa sul nostro pianeta.
Che cos’è il TFA?
L’associazione ambientalista italiana spiega che il TFA è una molecola costituita da “due atomi di carbonio che può essere sintetizzata artificialmente o derivare dalla degradazione di circa duemila PFAS“, come alcuni gas refrigeranti fluorurati, polimeri fluorurati, pesticidi, farmaci e schiume antincendio. Chimicamente il TFA è l‘acido trifluoroacetico, una molecola estremamente piccola e altamente solubile in acqua, ritenuta eterna, che può penetrare rapidamente e in grandi quantità nelle acque sotterranee e di superficie, contaminandole.
Se il TFA – già in uso da decenni e ben nota alla comunità scientifica internazionale – entra nel ciclo dell’acqua, rimuoverlo è molto difficile, essendo una sostanza indistruttibile che, per le sue stesse caratteristiche, non può essere rimossa dai più comuni trattamenti delle acque potabili. Insomma, detta in questi termini, sembra un affare molto grave. E lo è.
Quanto è diffuso il TFA nel mondo?
Secondo il rapporto di Greenpeace che cita le indagini di Pesticide Action Network, il TFA è il PFAS più abbondante nelle acque superficiali e di falda, con una percentuale del 98% in dieci nazioni europee, con concentrazioni comprese tra 370 e 3.300 nanogrammi per litro. Ulteriori analisi hanno dimostrato che questo acido rappresenta oltre il 90% del totale dei PFAS monitorati – ben 46 molecole – ed era presente in 34 dei 36 campioni analizzati. Queste percentuali si riflettono nell’elevata solubilità in acqua, ed infatti si trova nei mari, nei campioni di ghiaccio, nelle piogge e nell’aria. Ovunque, per questo Greenpeace denuncia l’urgenza di una regolamentazione che ne limiti le emissioni nocive sull’ambiente prima, sull’uomo subito dopo. Con effetti che potrebbero essere irreversibili.
Come può arrivare fino a noi
Abbiamo detto che l’acqua è il vettore principale. E trovandosi anche nei pesticidi chimici di sintesi utilizzati in agricoltura, è molto facile che penetrino nelle acque sotterranee attraverso la pioggia e l’irrigazione. E poi ci sono i gas refrigeranti e propellenti che formano TFA o fonte industriali.
Ed ora arriviamo alla parte peggiore. Secondo un’indagine condotta da Bund su alcune acque minerali tedesche, la presenza di TFA è stata rintracciata in quantità tra 53 e 200 nanogrammi per litro. Di recente l’organizzazione PAN ha diffuso i dati su acque vendute in Europa, Italia esclusa. E tracce di TFA sono state riscontrate nei succhi di frutta e in puree di frutta e verdura, ma anche birra e tè.
Effetti sulla salute umana
Secondo i criteri normativi attuali il TFA non è bioaccumulabile, ma ricerche scientifiche evidenziano che gli umani “non sono immuni alla contaminazioni, e sono state riscontrare tracce nel sangue umano, con concentrazioni medie paragonabili a quelle dei PFAS a catena lunga più studiati e noti per essere bioaccumulabili. Stando al rapporto dell’associazione ambientalista, dunque sono urgenti azioni nei confronti del TFA, infatti, su richiesta della Germania, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) sta verificando se sussistono le condizioni per classificarlo nella categoria 1B (tossico per la riproduzione umana).
Dati italiani su TFA
Gli unici dati pubblici disponibili sull’inquinamento da TFA nel nostro Paese sono quelli ufficiali di ARPA Veneto riguardo i monitoraggi sulla presenza di PFAS ultracorti nelle falde sottostanti l’industria farmaceutica FIS di Montecchio Maggiore (VI), dove furono registrate concentrazioni superiori ai 100 mila nanogrammi per litro. Ma per mappare il territorio serve un’azione capillare, motivo per cui lo scorso ottobre Greenpeace Italia, ha raccolto campioni in oltre 240 città su tutto il territorio nazionale ed il prossimo 22 gennaio, saranno pubblicati gli esiti delle analisi indipendenti.
L’allarme lanciato da Greenpeace
«Mentre gli scienziati trovano il TFA ovunque lo cerchino e, parallelamente, emergono prove inconfutabili circa la contaminazione irreversibile che origina e la continua esposizione degli esseri umani, in Italia non sappiamo quanto sia ampia la diffusione di questa pericolosa sostanza», dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. «A causa della contaminazione da PFAS e delle insufficienti risposte della politica, le persone che nel nostro Paese vivono nelle zone più esposte al rischio stanno già pagando un prezzo elevato».