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La contaminazione da PFAS in Italia è un problema in 16 regioni

Contaminazione PFAS Italia: inquinate 16 regioni
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La contaminazione da PFAS è presente in tutte le regioni che svolgono controlli mirati

I ‘forever chemicals’ sono presenti nelle acque di tutte le regioni italiane che svolgono controlli mirati, ovvero 16 su 20. La contaminazione da PFAS non è un problema regionale – concentrato nei territori più esposti e monitorati come Veneto e Piemonte – ma un fenomeno diffuso a livello nazionale. La cui vera dimensione sfugge ancora perché mancano rilevazioni sistematiche e capillari.

È il messaggio lanciato da Greenpeace nel rapporto “Contaminazione da PFAS in Italia” rilasciato il 28 maggio. Una fotografia a scala nazionale dell’inquinamento causato da queste sostanze dannose per la salute, di comune impiego industriale, che non si biodegradano e tendono ad accumularsi negli ecosistemi e negli organismi. E che rappresentano un problema “allarmante” anche a livello europeo, come sottolinea un rapporto di Pesticide Action Network pubblicato in settimana.

L’associazione ambientalista ha raccolto i dati ufficiali relativi al periodo 2019-2022 delle autorità responsabili del controllo dei livelli delle sostanze poli- e perfluoroalchiliche, le ARPA regionali, che confluiscono nel database curato dall’ISPRA. Che conferma i risultati della prima analisi nazionale, svolta dal SNPA nel 2018. Ma su un numero di campioni ben superiore e rappresentativo: il rapporto di 6 anni fa si basava appena su 1.110 rilevazioni, meno dell’1% di quelle usate da Greenpeace.

Contaminazione da PFAS, più la controlli più la rilevi

“Nonostante questa estesa contaminazione, nel nostro Paese la rete dei controlli è tutt’altro che capillare: eccezion fatta per alcune Regioni, le analisi sono sporadiche e poco numerose, con ampie porzioni del territorio italiano addirittura non monitorate”, sottolinea Greenpeace. Le analisi delle acque superficiali e sotterranee sono risultate positive a contaminazione da PFAS nel 17% dei casi, cioè in quasi 18mila campioni su 107mila. Con picchi pari o superiori al 30% in Basilicata, Liguria e Veneto. Ma sono sopra il 10% anche altre 6 regioni (Lombardia, Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo, Campania).

Numeri che con ogni probabilità non riescono a catturare davvero la dimensione del fenomeno. Secondo Greenpeace, c’è una correlazione tra aumento del monitoraggio e crescita dei campioni positivi. Ma i controlli, oggi, sono distribuiti in modo tutt’altro che uniforme sul territorio. “Quasi il 70% delle analisi nazionali è stato eseguito in sole quattro Regioni del nord Italia (Veneto e Piemonte, interessate da casi storici e ben documentati, a cui si aggiungono Lombardia e Friuli-Venezia Giulia), mentre il restante 30% è distribuito nelle altre 12 Regioni interessate dalle verifiche, creando una sproporzione in termini di numero e accuratezza”, sottolinea il rapporto. In più, solo 10 regioni compiono controlli regolarmente, mentre le altre hanno serie di dati discontinue.

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