Uno nuovo studio internazionale rivela che la contaminazione da PFAS è molto più estesa di quanto si credesse, anche in Italia
(Rinnovabili.it) – Una nuova inchiesta giornalistica internazionale, “The Forever Pollution Project”, rivela che la contaminazione da PFAS è più estesa di quanto credessimo. Il dato riguarda anche il nostro Paese, dove ritenevamo fosse presente solo in Veneto ma si estende ad almeno altre tre regioni.
Come ha spiegato Giuseppe Ungherese, responsabile Inquinamento di Greenpeace: “Questa indagine senza precedenti tocca un nervo scoperto su cui le autorità nazionali da tempo hanno scelto di non intervenire, nonostante sia chiaro che la contaminazione riguardi l’acqua, l’aria, gli alimenti e il sangue di migliaia di persone. Si tratta di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo. Esortiamo il governo, il parlamento e i ministeri competenti ad assumersi le proprie responsabilità varando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili”.
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PFAS: una contaminazione oltre ogni aspettativa
Stando ai dati riportati dall’inchiesta in Europa esistono più di 17.000 siti caratterizzati dalla contaminazione da PFAS. Si tratta solo delle aree in cui la loro presenza è stata accertata, perché è probabile che riguardi anche altri 21 mila siti in cui ci sono, o ci sono state, attività industriali legate a questi inquinanti. A questi si aggiungono poi altri 2.100 luoghi in cui l’inquinamento derivato da queste sostanze registra livelli che mettono in pericolo la salute umana, i cosiddetti “hotspot”.
Dati sconvolgenti anche per il nostro Paese, dove la contaminazione da PFAS non riguarda solo il Veneto, epicentro europeo dell’emergenza, ma anche alcune aree limitrofe agli stabilimenti Solvay in Piemonte, e zone della Lombardia e della Toscana.
Si tratta in ogni caso di informazioni parziali che non è detto siano esaustive della situazione: non tutte le regioni hanno effettuato monitoraggi capillari ed è impossibile quindi sapere quante aree sono coinvolte.
Da tempo il tema è sui tavoli delle istituzioni europee: a inizio marzo l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) ha pubblicato la bozza di una proposta che porti al divieto comunitario di produzione e utilizzo di migliaia di PFAS per intervenire sulla contaminazione e impedire che cresca. La proposta è arrivata da Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia, mentre non si è interessata al tema l’Italia.
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A livello internazionale più di cento organizzazioni, tra cui Greenpeace, hanno lanciato il manifesto “Ban PFAS”, per chiedere la messa al bando di queste sostanze. Il dibattito sul tema è arrivato anche oltre oceano, con l’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente (EPA) che, la scorsa settimana, ha proposto di introdurre dei limiti alla contaminazione dell’acqua potabile per almeno 6 molecole appartenente al gruppo PFAS, tra cui Pfoa e Pfos, tra le più pericolose per la salute umana perché possibili cancerogene. L’EPA chiede che il limite sia lo zero tecnico: visto che per queste sostanze non esistono soglie di sicurezza perché la contaminazione da PFAS semplicemente non è prevista, la richiesta è che le soglie limite siano individuate nei valori più bassi che le strumentazioni sono in grado di rilevare.