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Contaminazione chimica: dai PFAS non si salva nemmeno l’Artico

Un gruppo di ricercatori ha individuato diversi tipi di sostanze perfluoroalchiliche nelle acque dell’Oceano Artico. Tra questi anche la più recente HFPO-DA, un tipo di Pfas potenzialmente cancerogeno per l'uomo

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Di Brocken Inaglory. – Opera propria, CC BY-SA 3.0, Collegamento

La contaminazione chimica da PFAS ha raggiunto aree dell’Artico che, fino ad oggi, si ritenevano “salve”. Prova che i “forever chemicals” si spostano nell’atmosfera

(Rinnovabili.it) – Utilizzate fin dagli anni ’40, le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) si sono nel tempo guadagnate l’appellativo di “forever chemicals”. Questi composti, infatti, a causa della loro elevata stabilità, possono resistere nell’ambiente praticamente “per sempre”. O più precisamente hanno bisogno di migliaia di anni per degradarsi. Questo spiega perché sia ancora possibile trovare di PFAS già vietati da tempo. È noto che queste sostanze si accumulino negli ecosistemi e negli esser viventi provocando seri danni patologici e che siano in grado di percorrere lunghe distanze. Fino ad oggi tuttavia sembrava che tale contaminazione chimica avesse risparmiato alcune aree remote del pianeta: in realtà non è così. 

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Un gruppo internazionale di ricercatori del Centre for Materials and Coastal Research e dell’Helmholtz Centre for Polar and Marine Research, entrambi in Germania, e della Harvard University, hanno fatto una scoperta sconcertante nelle acque dell’Oceano Artico. Analizzando campioni provenienti dallo Stretto di Fram, il principale collegamento tra l’Oceano Atlantico e quello Artico, i ricercatori hanno infatti rilevato un’elevatissima contaminazione chimica, con ben 29 diversi PFAS, tra cui l’HFPO-DA, sostanza sviluppata recentemente per sostituire i vecchi composti (nello specifico PFOA e PFOS).

Rilevando una crescente contaminazione chimica e, in particolare, livelli più elevati di PFAS nell’acqua in uscita dall’Oceano Artico, lo studio pubblicato su Environmental Science & Technology suggerisce che queste sostanze siano lì arrivate attraverso l’atmosfera e non, come inizialmente s’era creduto, con le correnti marine.

Ulteriori informazioni sulla distribuzione verticale dei PFAS negli oceani sono essenziali per ridurre le incertezze nei bilanci di massa PFAS globali e valutare il ruolo degli oceani come un pozzo di PFAS“, scrivono i ricercatori. L’articolo insiste in particolare sulla necessità di “comprendere la distribuzione su larga scala e il destino dei PFAS”. Per farlo, chiariscono gli scienziati,  è necessaria “la conoscenza della circolazione oceanica, della stratificazione verticale e laterale, nonché dei processi di miscelazione fisica”.

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