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Le centrali a carbone dei Balcani uccidono in Europa, l’Italia la più colpita

Centrali a carbone: gli impianti tossici e letali dei Balcani
La centrale termoelettrica a carbone Nikola Tesla A, in Serbia, è alimentata dalla lignite della vicina miniera di Kolubara. By Mickey Mystique – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=31937313 |

18 centrali a carbone nei Balcani inquinano più delle 221 europee

(Rinnovabili.it) – Tossiche, fuori legge e decisamente letali. Le centrali a carbone attive nei Balcani negli ultimi 3 anni hanno causato da sole quasi 20mila morti premature. Una buona parte delle quali in paesi confinanti, soprattutto l’Italia. In questo periodo gli impianti, sparsi tra Serbia, Kosovo, Bosnia Herzegovina, Macedonia e Montenegro, avrebbero dovuto iniziare a contribuire al rispetto dei limiti europei di emissioni. Ma nessuno dei 18 siti è in regola.

Anzi, inquinano a tutto spiano. Le 18 centrali a carbone dei Balcani, da sole, producono due volte e mezza più biossido di zolfo di tutte e 221 gli impianti analoghi attivi nell’Unione Europea l’anno scorso. In pratica, bastano questi siti perché la regione balcanica sfori di 6 volte i limiti UE di inquinamento atmosferico sugli SOx che dovrebbe rispettare dal 2017.

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Sono i dati presentati da CEE Bankwatch Network e dal Centre for Research on Energy and Clean Air in un rapporto intitolato “Comply or Close”. Numeri che puniscono soprattutto il nostro paese. L’Adriatico è un ponte per le emissioni delle centrali a carbone dei paesi balcanici. Le stime sulle morti premature causate da questi impianti mettono addirittura l’Italia davanti alla stessa Serbia, 605 decessi contro 600. Seguono, molto staccate, l’Ungheria con 390 decessi, la Romania (360), la Bosnia (280) e la Grecia (240). Tra il 2018 e il 2020, le morti premature provocate nei Balcani sono state oltre 6mila, mentre quelle localizzate in UE superano le 10mila unità.

Con i relativi costi in termini di spesa sanitaria: le stime del rapporto parlano di una forchetta che va dai 6 ai 12 miliardi di euro, solo nel 2020 e solo a causa delle emissioni delle 18 centrali. Di questo totale, ancora una volta, la maggior parte cade sull’UE: il 73%, pari a 4,4 – 8,9 miliardi. Uno scenario per il quale l’UE stessa non è senza responsabilità visto che sostiene lo status quo comprando energia. Tra il 2018 e il 2020, infatti, i Balcani occidentali dove si trovano le centrali a carbone incriminate hanno esportato in UE 25 TWh d elettricità, pari all’8% del totale dell’elettricità prodotta dal carbone nella regione.

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