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Buco dell’ozono, arriva la conferma: la chiusura è merito dello stop ai CFC

Buco dell’ozono: confermato, chiusura è merito dello stop ai CFC
via depositphotos.com

Il buco dell’ozono si sta progressivamente riducendo e il merito è in gran parte delle norme internazionali che hanno messo al bando sostanze chimiche dannose come i clorofluorocarburi (CFC). Le leggi e l’iniziativa dell’uomo pesano molto più dei fattori naturali o di altri cambiamenti atmosferici.

Lo ha stabilito un nuovo studio condotto dal MIT, che ha confermato con elevata certezza statistica che il buco dell’ozono sopra l’Antartide si sta riducendo ed è riuscito ad analizzarne la “firma chimica”. È la 1° volta che la scienza dimostra su basi quantitative che la chiusura progressiva del buco dell’ozono è direttamente legata alla riduzione dei CFC.

Buco dell’ozono: la prova quantitativa definitiva del ruolo (positivo) dell’uomo

Fin dagli anni ‘80, gli scienziati avevano individuato il problema del buco dell’ozono, associandolo all’uso massiccio di CFC, cioè sostanze contenute in refrigeranti, spray aerosol e materiali isolanti. Grazie al Protocollo di Montreal, un trattato internazionale firmato nel 1987, la produzione e l’uso di queste sostanze sono stati progressivamente ridotti, con l’obiettivo di permettere alla stratosfera di rigenerarsi.

Negli anni successivi si sono osservati segnali di miglioramento. Ma fino ad oggi mancava una prova quantitativa definitiva che attribuisse la riduzione del buco dell’ozono esclusivamente alla diminuzione dei CFC.

Lo studio del MIT ha colmato questa lacuna applicando una tecnica avanzata di analisi, chiamata “fingerprinting”, che consente di isolare gli effetti specifici dei fattori antropici (ossia quelli legati all’attività umana) da quelli naturali.

La dimostrazione si è basata sul confronto tra i dati ottenuti da simulazioni atmosferiche in scenari diversi e quelli satellitari raccolti dal 2005 a oggi. Risultato? L’“impronta digitale” antropica della riduzione dei CFC era sempre più evidente e inequivocabile. Nel 2018, la correlazione ha raggiunto una certezza del 95%.

“Dopo 15 anni di registrazioni osservative, registriamo questo segnale con un livello di confidenza del 95%, il che suggerisce che c’è solo una piccolissima possibilità che la somiglianza del modello osservato possa essere spiegata dalla variabilità” naturale, spiega Peidong Wang, prima firma dell’articolo scientifico pubblicato su Nature.

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