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L’apprendimento automatico può prevedere le emissioni di ammine dovute alla cattura del carbonio

cattura della CO2
Image by Valentin Baciu from Pixabay

(Rinnovabili.it) – Tra le tecnologie coinvolte nella lotta ai cambiamenti climatici continuano a prendere piede quelle per la cattura e il sequestro della CO2 (CCS) dai fumi industriali. Il problema di questa soluzione è che spesso coinvolge le ammine, composti organici le cui emissioni sono potenzialmente dannose.

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Le ammine sono utilizzate per la cattura dell’anidride carbonica, per la trasformazione e la raffinazione del gas naturale ma anche in ambito farmaceutico come nelle resine epossidiche e nei coloranti. Si tratta di sostanze chimiche molto utili, ma è necessario monitorarne in maniera accurata il rilascio e prevederne la quantità di emissioni. 

Il problema della previsione delle emissioni di ammine

La previsione delle emissioni di ammine è un’attività complessa perché varia a seconda degli impianti e delle sostanze implicate. Un gruppo di scienziati della School of Basic Sciences dell’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL) e del Centro di ricerca per le soluzioni al carbonio della Heriot-Watt University in Scozia sta sviluppando un metodo che prevede l’utilizzo dell’apprendimento automatico.

Il metodo utilizza i dati sperimentali forniti da uno stress test effettuato in Germania. “Gli esperimenti sono stati fatti a Niederhausen, su una delle più grandi centrali a carbone in Germania”, ha spiegato Berend Smit dell’EPFL, “E da questa centrale, una scia è stata inviata in un impianto pilota di cattura del carbonio, dove la prossima generazione di soluzione amminica è stata testata per oltre un anno. Ma una delle questioni in sospeso è che le ammine possono essere emesse con gas di scarico, e queste emissioni di ammine devono essere controllate”.

Per monitorare le emissioni di ammine è intervenuta la professoressa Susana Garcia della Heriot-Watt. La ricercatrice, con i proprietari degli impianti, ha sviluppato un esperimento di misurazione in diverse condizioni: “Abbiamo sviluppato una campagna sperimentale per capire come e quando le emissioni di ammine sarebbero state generate – ha raccontato – Ma alcuni dei nostri esperimenti hanno anche causato interventi degli operatori dell’impianto per garantire che funzionasse in sicurezza”. La necessità di interventi di sicurezza ha comportato difficoltà nell’interpretazione dei dati, visto che non era certo il livello di influenza antropica nei risultati conseguiti; il problema di avere dati “impuri” ha aggravato le difficoltà di base dovute alla poca comprensione dei meccanismi di emissione di ammine: “In breve – ha spiegato Smit – abbiamo avuto una campagna costosa e di successo che ha dimostrato che le emissioni di ammine possono essere un problema, ma senza strumenti per analizzare ulteriormente i dati”.

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Il machine learning ha trasformato i dati “impuri” in un modello

Il problema della contaminazione dei dati sembrava impossibile da risolvere ma sulle misurazioni effettuate da Garcia ogni cinque minuti è intervenuto Kevin Maik Jablonka, uno studente di dottorato che ha sviluppato un sistema di machine learning in grado di trasformare l’enorme mole di dati prodotta in un problema che di definizione e apprendimenti di modello. “Volevamo sapere quali sarebbero state le emissioni se non avessimo effettuato lo stress test ma solo gli interventi degli operatori”, ha illustrato Smit. 

A questo punto, attraverso l’apprendimento automatico, Jablonka è stato in grado di effettuare un calcolo per la previsione delle emissioni di ammine a partire dai dati forniti da Garcia: “Con questo modello, potremmo prevedere le emissioni causate dagli interventi degli operatori e poi districarle da quelle indotte dallo stress test. Inoltre, potremmo utilizzare il modello per eseguire tutti i tipi di scenari sulla riduzione di queste emissioni”.

I risultati dell’esperimento hanno sorpreso il team di scienziati: nonostante l’impianto pilota fosse progettato per l’ammina pura, il test aveva utilizzato due sostanze, la 2-amino-2-metil-1-propanolo e la piperazina (CESAR1). Gli esperimenti hanno mostrato che le due ammine, contro ogni aspettativa, rispondono in maniera opposta alle sollecitazioni e, riducendo le emissioni di una, aumentano quelle dell’altra. “Sono molto entusiasta del potenziale impatto di questo lavoro; è un modo completamente nuovo di guardare a un processo chimico complesso”, ha concluso Smit. “Questo tipo di previsione non è qualcosa che si può fare con uno qualsiasi degli approcci convenzionali, quindi può cambiare il nostro modo di operare impianti chimici.”

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