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Gli allevamenti intensivi inquinano con i fondi pubblici. La denuncia di Greenpeace

Greenpeace ha diffuso una mappa degli allevamenti intensivi in Italia che emettono sostanze inquinanti dannose per l’ambiente.

allevamenti intensivi
via depositphotos.com

(Rinnovabili.it) – Sono 894 gli allevamenti intensivi sul nostro Paese, appartengono a 722 aziende, spesso connesse a gruppi finanziari come Generali o nomi dell’industria alimentare come Veronesi SpA, che comprende Aia e Negroni, o aziende zootecniche come il gruppo Cascone.

Greenpeace li ha mappati, mostrando dove si trovano le aziende che sono state segnalate nel Registro UE delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR) per emissioni di ammoniaca superiori alla norma.

Sembra che si faccia finta di ignorare che gli allevamenti intensivi sono già da anni considerati attività insalubri di prima classe, e che pertanto servono misure per proteggere la salute delle persone e l’ambiente dalle loro pericolose emissioni. Per farlo in modo efficace, occorre pianificare una riduzione del numero degli animali allevati, come sta già accadendo in altri Paesi europei. Rimandare questi provvedimenti, significa ignorare gli impatti su salute e ambiente legati all’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi”, ha dichiarato Simona Savini, campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.

La mappa degli allevamenti intensivi più inquinanti d’Italia

La mappa elaborata dalla ONG colloca gran parte di rischi ambientali derivati dalle emissioni di ammoniaca degli allevamenti intensivi nelle regioni appartenenti alla Pianura Padana, dove si trova il 90% degli stabilimenti responsabili degli sforamenti avvenuti nel 2020. Prima della lista, la Lombardia, con più della metà degli allevamenti inquinanti.

L’ammoniaca che emettono le strutture mappate è per ampia parte responsabile della formazione dello smog che caratterizza questi territori perché si combina con altre componenti atmosferiche generando polveri sottili. Gli allevamenti intensivi, spiega la ONG, sono la seconda causa di formazione del particolato fine, responsabili per il 17% della formazione del PM2,5. Secondi solo agli impianti di riscaldamento, inquinando di più dei trasporti. 

“Le polveri fini (PM2,5) sono responsabili di decine di migliaia di morti premature ogni anno: l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato quasi 50.000 vittime in Italia nel solo 2019”, spiega Savini, che si chiede: “Com’è possibile ridurre drasticamente la diffusione di queste sostanze, se, parallelamente, si continuano a finanziare i modelli zootecnici intensivi e inquinanti che le producono?”, 

I dati a disposizione sono solo la punta dell’iceberg

La mappa diffusa aggiorna i dati collezionati da Greenpeace nel 2018 e rileva che quasi 9 aziende su 10 di quelle segnalate nel registro UE come inquinanti siano state sovvenzionate con i fondi pubblici relativi alla Politica Agricola Comune (PAC) con una media di 50.000 euro cadauna e un totale di investimento che nel 2020 è arrivo a 32 milioni di euro. 

In realtà i numeri sono una fotografia solo parziale della situazione perché l’E-PRTR cataloga solo una parte delle emissioni derivate dai settori zootecnici: nel 2020 il 92% dell’ammoniaca emessa non è stata monitorato dal registro. “Questa dannosa lacuna – spiega un comunicato di Greenpeace – segnala l’urgenza di monitorare e regolamentare un maggior numero di allevamenti, come previsto dalla proposta della Commissione UE di modifica della direttiva europea sulle emissioni industriali. Una proposta, però, che ha già scatenato violente reazioni da parte di esponenti politici e di alcune organizzazioni di categoria”.