(Rinnovabili.it) – Il desiderio dei paesi occidentali di vestiti, giocattoli e smartphone a basso costo uccide 100mila cinesi ogni anno. Morti premature provocate dall’inquinamento dell’aria, conseguenza a sua volta dell’enorme comparto manifatturiero del gigante asiatico, nel quale centinaia di multinazionali delocalizzano i propri impianti.
È il risultato di uno studio pionieristico condotto dall’università della California e pubblicato sulla rivista specializzata Nature, che fornisce per la prima volta un quadro dettagliato del legame globale tra il commercio internazionale e l’inquinamento atmosferico e le sue conseguenze sulla salute.
“Se il costo dei prodotti importati è più contenuto a causa di controlli meno stringenti sull’inquinamento dell’aria nelle regioni dove vengono realizzati, allora il risparmio dei consumatori avviene a scapito di vite umane altrove”, concludono gli autori dello studio.
La ricerca si focalizza sulle emissioni di particolato sottile (PM 2.5) derivante dall’attività di centrali, industrie, traffico aereo e marittimo con dati provenienti da 228 paesi. La conclusione è che le morti premature dovute alle polveri sottili, a livello globale, sono circa 3,5 milioni. E di questa cifra ben il 22% può essere associato con merci e servizi prodotti in una regione del Pianeta per essere consumati dall’altra parte del globo. Il dato che risalta di più è senz’altro quello relativo alla Cina: soltanto nel 2007, il consumo di beni in Europa e Stati Uniti è legato al decesso prematuro di 108mila cinesi.
Ma non è un meccanismo che funziona esclusivamente a senso unico. Lo studio prende in considerazione anche il modo in cui le emissioni dei maggiori poli industriali colpiscono la salute degli abitanti dei paesi vicini e, in proporzione minore, anche di Stati molto distanti. In tutto, oltre 400mila decessi prematuri l’anno (il 12% del totale) sono legati agli inquinanti emessi in altre regioni del mondo. Le industrie cinesi, così, risultano collegate alla morte prematura di 64mila persone nel mondo, tra cui 3mila distribuite tra Stati Uniti e Europa occidentale.