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Inquinamento atmosferico: 250mila morti l’anno, in Cina è airmageddon

Inquinamento atmosferico: 250mila morti l’anno, in Cina è airmageddon

 

(Rinnovabili.it) – Lo chiamano “airpocalypse” o “airmageddon”, termini coniati nell’inverno del 2013, quando l‘inquinamento atmosferico di Pechino aveva paralizzato per oltre un mese la città, uscendo fuori da qualsiasi scala impiegata fino ad allora per misurarlo. E forse non esistono parole migliori di queste per indicare la catastrofe ambientale che ormai da anni i cinesi stanno respirando. A riaccendere i riflettori sul tema dello smog, è una dei principali atenei della Cina (l’Università di Pechino) che ha scoperto come una media di 90 persone su 100.000 residenti in 31 capoluoghi di provincia del paese siano a rischio di morte prematura a causa dell’esposizione prolungata a elevati livelli di polveri sottili. Si tratta del grande primo studio nazionale ad aver utilizzato i dati di particolato in ciascuno dei capoluoghi provinciali cinesi per predire gli effetti a lungo termine dello smog urbano.

 

L’analisi, a cui ha collaborato anche Greenpeace, rivela che l’eccessiva concentrazione di PM 2.5 nell’aria ha portato nel 2013 a 257mila morti premature, una percentuale più elevata di quella del fumo; una dimostrazione pratica che la “guerra all’inquinamento” dichiarata dal governo lo scorso anno non sta ancora producendo i risultati sperati, nonostante le forti sanzioni per chi non rispetta i nuovi canoni e la riduzione del carbone nel paniere energetico nazionale. La megalopoli di Shijiazhuang, nella provincia di Hebei, ha la media di PM 2,5 annuale più alta e di conseguenza ha anche il tasso di mortalità più alto dei 31 capoluoghi: 137 decessi premature ogni 100.000. “Questi risultati – commenta Fang Yuan, attivista di Greenpeace Asia orientale – mettono a nudo ancora una volta il paradosso che è al cuore del vecchio modello di sviluppo cinese. Non deve essere per forza così. Il fatto che il consumo di carbone in Cina sia in calo, mentre l’economia continua a crescere dimostra come le città soffocate dall’inquinamento non siano l’inevitabile sottoprodotto dello sviluppo”.

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