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Inondazioni, lo studio ”corregge” il tiro: rischi molto più elevati di quanto si credeva

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Pubblicato lo studio del Climate Central sui rischi connessi all’innalzamento degli oceani e alle inondazioni

(Rinnovabili.it) – Le aree costiere, oggi abitate da più di 300 milioni di persone, entro il 2050 saranno  vulnerabili alle inondazioni in maniera molto più elevata di quanto stimato fino a ieri. E nonostante l’aggravarsi del fenomeno sia direttamente correlato ai cambiamenti climatici, gli impatti peggiori si verificheranno a prescindere dalla riduzione delle emissioni. 

A lanciare l’allarme è un nuovo studio condotto dal gruppo di ricerca no profit Climate Central, che corregge i dati di elevazione del suolo impiegati fino a ieri per valutare l’impatto dell’innalzamento dei mari e delle grandi tempeste. Le proiezioni a livello oceanico, infatti, non sono cambiate: al contrario gli scienziati sono riusciti a stimare con maggiore accuratezza quanto le coste si elevano sopra il livello del mare.

 

La ricerca ha confutato i numeri forniti in passato dallo Shuttle Radar Topography Mission (SRTM) della NASA: circa cinque anni fa, infatti, Scott Kulp – scienziato a capo dello studio –  e  Ben Strauss – CEO di Climate Central -, si resero conto che, rispetto ai dati più accurati raccolti da sistemi basati sui laser dei velivoli, quelli della SRTM mostravano sistematicamente elevazioni maggiori della realtà. Gran parte del problema era che il sistema NASA scambiava tetti e alberi per suolo. “Si è scoperto così che per la maggior parte della costa globale non conoscevamo l’altezza reale del suolo sotto i nostri piedi“, hanno spiegato gli scienziati.

 

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I nuovi dati, ha spiegato Strauss ad AFP, mostrano che ad essere colpito sarà un numero di persone nettamente superiore a quanto finora previsto: oltre i due terzi delle popolazioni a rischio si trovano in Cina, Bangladesh, India, Vietnam, Indonesia e Tailandia. E con la popolazione globale destinata ad aumentare di due miliardi entro il 2050 e un altro miliardo entro il 2100, principalmente nelle megalopoli costiere, le stime potrebbero cambiare ulteriormente.

 

I rischi, per chi vive su isole e lungo le coste, arrivano da due fronti. Il primo è ovviamente è rappresentato dall’innalzamento del livello marino, connesso alla fusione delle calotte glaciali in Groenlandia e in Antartide: questi ecosistemi hanno perso oltre 430 miliardi di tonnellate di massa l’anno nell’ultimo decennio e, dal 2006, la linea di galleggiamento è salita di quasi quattro millimetri annuali. Un ritmo che potrebbe aumentare di 100 volte se le emissioni di carbonio continuassero a crescere come adesso, portando ad un innalzamento di un metro entro il 2010. Mantenendo invece il surriscaldamento globale inferiore a due gradi Celsius – cioè rispettando l’obiettivo fondamentale del trattato sul clima di Parigi – la crescita dovrebbe arrestarsi a circa mezzo metro. In ogni caso, come spiegato da Bruce Glavovic, professore alla Massey University in Nuova Zelanda “non ci vuole un grande aumento del livello del mare per portare a problemi catastrofici”.

 

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Il secondo fronte è rappresentato dalle violente tempeste che fino a poco tempo fa si manifestavano all’incirca una volta ogni 100 anni. Gli esperti stimano infatti che entro il 2050 si verificheranno in media una volta all’anno, con danni annui in aumento da 100 a 1.000 volte entro il 2100.

Inoltre, quasi un miliardo di persone che oggi vive a meno di nove metri sul livello del mare, si trova in aree urbane che stanno letteralmente affondando.

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