Nell’acqua in bottiglia fino a 22 volte la quantità di microplastiche presenti in quella di rubinetto
(Rinnovabili.it) – La diffusione delle microplastiche, trovate in ogni luogo del Pianeta, dalle fosse oceaniche fino alle alture più remote dei Pirenei o nelle uova degli uccelli artici, faceva ipotizzare la possibilità che anche l’essere umano ne ingerisse, tuttavia ancora nessuno studio scientifico ha provato a quantificare l’esposizione della nostra dieta alimentare ai micro frammenti di plastica che contaminano terra, oceani e animali.
Una ricerca dell’Università di Victoria, in Canada, ha tentato una stima provvisoria, arrivando a ipotizzare che il consumatore medio ingerisce non meno di 50 mila particelle di microplastiche ogni anno e ne inala almeno la stessa quantità.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology, ha sfruttato i dati collezionati in 26 differenti studi sulla contaminazione delle microplastiche in prodotti alimentari come pescato (sia pesci che molluschi), zucchero e sale, birra e acqua (sia in bottiglia che da rete idrica) oltre alle rilevazioni sulla quantità di frammenti di plastica presenti nell’aria degli agglomerati urbani.
I dati raccolti sono poi stati incrociati con le indicazioni alimentari dell’Agenzia per la salute degli Stati Uniti per calcolare quante microplastiche finiscano nel piatto di un consumatore tipo ogni anno. La cifra sorprendente di 50 mila particelle annue (40 mila per i bambini) risulta da una prima analisi, basata solo su una porzione molto limitata degli alimenti realmente consumati da un adulto medio: secondo i ricercatori della Victoria University, i cibi analizzati rappresenterebbero appena il 15% dell’apporto calorico medio di un consumatore americano e sarebbero quindi necessarie nuove ricerche per stabilire la reale quantità di plastica potenzialmente ingerita dagli esseri umani.
La percentuale di microplastiche, inoltre, varierebbe molto da alimento ad alimento: l’acqua in bottiglia, in particolare, conterrebbe fino a 22 volte la quantità di plastica presente in quella da rubinetto, per cui una persona che assume acqua solo tramite bottiglie di plastica può ingerire anche 130 mila particelle di microplastiche ogni anno a fronte delle circa 4 mila di chi utilizza esclusivamente la rete idrica.
Quale sia l’impatto delle microplastiche sulla salute umana non è ancora stato stabilito con chiarezza scientifica: i frammenti di plastica, una volta deteriorati, possono rilasciare delle sostanze tossiche e la minuscola dimensione può permettere la penetrazione nei tessuti umani provocando reazioni immunitarie.
In un report dello scorso Aprile, la Commissione europea segnalava la crescente consapevolezza scientifica del rischio ambientale e salutare connesso alla diffusione dell’inquinamento da microplastiche e invitava tutti ad alzare il proprio livello di precauzione.
A gennaio 2019, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) aveva proposto il sostanziale divieto di utilizzo delle microplastiche aggiunte intenzionalmente in settori come quello dei detergenti, della cosmesi e dell’agricoltura. L’indagine dell’ECHA, infatti, rivelava come proprio il settore agricolo fosse il maggiore responsabile europeo dell’immissione in natura di micro particelle plastiche a causa del diffuso utilizzo nei cosiddetti “fertilizzanti a lenta cessione”, additivi incapsulati in polimeri di plastica e inseriti nel terreno.
“Cercherò di tenermi il più lontano possibile dai prodotti impacchettati in plastica e in particolare di evitare le bottiglie d’acqua – ha commentato il dottor Kieran Cox, coordinatore dello studio – Eliminare la plastica monouso dalle nostre vite e supportare aziende che stanno abbandonando il packaging in plastica potrebbe avere un impatto non banale. Il punto è semplice: produciamo un’enorme quantità di plastica che finisce nell’ecosistema, di cui anche noi siamo parte”.