Rinnovabili • Industria sci Italia: Legambiente, i numeri di un settore in declino Rinnovabili • Industria sci Italia: Legambiente, i numeri di un settore in declino

Quanto ci costa davvero l’industria dello sci in Italia?

Crescono in tutta la Penisola i numeri degli impianti temporaneamente fermi, aperti a singhiozzo, dismessi. E salgono anche le spese – soldi pubblici – per tenere a galla piste a quote troppo basse per sfruttare il poco innevamento presente. L’Italia è impegnata in un “accanimento terapeutico” invece di destinare queste risorse per convertire il settore verso un modello di turismo più sostenibile

Industria sci Italia: Legambiente, i numeri di un settore in declino
Foto di Matthieu Pétiard su Unsplash

Legambiente pubblica il rapporto Nevediversa 2024

(Rinnovabili.it) – Il 24 marzo, il comprensorio sciistico di Campo Felice ha deciso di chiudere la stagione. Impianti fermi, non si proverà nemmeno ad arrivare fino a Pasqua. Lo stop arriva dopo appena 70 giorni: i 5 impianti con 24 piste e 40 km di area sciabile tra Lucoli, Rocca di Cambio e Rocca di Mezzo avevano aperto i battenti solo il 13 gennaio e solo grazie all’innevamento artificiale garantito da 380 cannoni. Poco più di due mesi di attività quando la stagione “normale” va da dicembre ad aprile. Le piste – tutte tra i 1500 e i 1600 metri di altezza – sono più verdi che bianche: l’inverno quasi non s’è visto. È un caso paradigmatico di quello che sta succedendo oggi all’industria degli sci in Italia.

Il settore è costretto a fare i conti con l’aumento delle temperature e l’assenza di neve, ormai cronica alle quote più basse e non solo. E per restare a galla fa affidamento su neve artificiale – che aumenta il consumo idrico – e molto spesso su fondi pubblici. Ma il salvagente non basta a risollevare le sorti dell’industria degli sci in Italia, che continua per la maggior parte a non cercare strategie di adattamento.

La lenta agonia dell’industria degli sci in Italia

È la fotografia scattata da Legambiente nel rapporto Nevediversa 2024, una mappa puntuale e dettagliata dello stato dell’industria sciistica nazionale. Vediamo i numeri. Rispetto all’anno scorso, gli impianti temporaneamente chiusi in Italia sono 39 in più, per un totale di 177 di cui 92 sull’arco alpino e 85 sull’Appennino. Gli impianti che riescono ad aprire solo a singhiozzo sono 9 in più, in tutto 93 di cui oltre la metà sulla dorsale appenninica. Qui l’ultima rilevazione dell’equivalente idrico nivale – l’acqua stoccata nella neve presente in montagna – rilasciata a marzo da Fondazione CIMA parlava di un deficit sugli ultimi 10 anni ancora al -78%, mentre quello sulle Alpi è diminuito benché ancora al -21% in media.

Altro dato in crescita, spiega il rapporto di Legambiente, è quello delle strutture dismesse: 260 in tutta Italia, +11 rispetto al 2023, di cui 176 sulle Alpi e 84 in Appennino. Così come è in forte crescita il numero degli impianti sottoposti a quello che il Cigno Verde definisce “accanimento terapeutico”: 241 (+33 unità) che “sopravvivono solo con forti iniezioni di denaro pubblico”. Sale anche il numero dei bacini idrici per l’innevamento artificiale, +16 sul 2023 per un totale di 158.

“Resistenza al cambiamento”

Per Legambiente, il settore deve “avere il coraggio di andare oltre la neve sempre più rara e cara”, abbandonare soluzioni provvisorie che ne prolungano l’agonia mentre generano “ingenti consumi d’acqua, forte dispendio di energia” e “consumo di suolo in territori di pregio naturalistico” tramite i bacini per la neve artificiale.

“Da parte nostra non c’è alcuna contestazione nei confronti degli operatori del settore, ma più un’obiezione contro la resistenza al cambiamento, commenta Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente. “Un inverno senza neve per questo mondo rischia di diventare un inverno senza economia e sbaglia chi continua a affermare “abbiamo sempre fatto così”.

Quanto paghiamo davvero la settimana bianca?

Lo sci italiano diversifica poco, non sta spingendo abbastanza verso modelli di turismo più sostenibile, e continua a drenare risorse pubbliche che potrebbero essere spese, invece, per la sua transizione senza scossoni. Indicazioni, queste, che sono contenute anche nella Strategia nazionale per l’adattamento al cambiamento climatico. Ma vengono disattese nei fatti.

“Il Ministero del Turismo di recente ha stanziato 148 milioni di euro destinati alle società proprietarie degli impianti di risalita per ampliamenti, ammodernamento, innevamento artificiale e altro ancora, contro i quattro milioni di euro messi a disposizione per la promozione dell’ecoturismo, denuncia Legambiente.

Ma questa è solo parte della storia. Dai primi anni 2000 le Regioni e lo Stato italiano rispondono unicamente alla crisi del settore con robuste iniezioni di denaro pubblico a sostegno di impianti e innevamento artificiale. In molte realtà italiane gli impianti di risalita sono società partecipate da Regioni, Province, comunità montane o comuni. E questo chiama altri fondi pubblici. Il Piemonte per il 2022-2024 ha pompato oltre 29 mln di euro per l’industria dello sci, la Valle d’Aosta ha messo nel 2022 2 mln di euro solo per salvare le piccole stazioni sciistiche.

La Lombardia ha speso negli ultimi 5 anni 11 mln euro per la neve programmata e altri 3 mln per i comprensori locali. Poi c’è il capitolo olimpiadi 2026: ad oggi, solo in Lombardia, sono stati spesi quasi 60 mln euro. In Veneto le olimpiadi hanno già drenato almeno 67 mln oltre ai 3 strutturali per il settore stanziati solo per il 2023 dalla Regione. E altri investimenti da decine di mln di euro sono annunciati.