Alla COP 21 si è discusso molto dei finanziamenti sul clima per i Paesi poveri. Ma un meccanismo perverso li trasforma nel paradiso del carbone
(Rinnovabili.it) – Volendo dirlo brutalmente, al centro dell’accordo sul clima approvato nel contesto della COP 21 ci sono i soldi. Malgrado le dichiarazioni di intenti e le molte parole spese, il negoziato è stato sostanzialmente una questione di denaro. Quello che i Paesi poveri vorrebbero vedersi accreditare per progetti di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico e quelli (molti meno) che le grandi potenze – responsabili di quegli effetti catastrofici – sono intenzionate a sborsare. In mezzo a questa matassa c’è il Green Climate Fund (GCF), il fondo verde per il clima creato dall’ONU che dovrebbe accogliere buona parte dei finanziamenti e poi assegnarli ai progetti nei Paesi in via di sviluppo.
Per fare ciò ha bisogno di partner accreditati, istituti di credito che facciano da mediatori. Per accedere ai fondi, essi dovrebbero garantire alcuni requisiti fondamentali: la trasparenza e la propensione agli investimenti sostenibili. Peccato che le cose stiano in modo un po’ diverso.
Le cattive compagnie del GCF
Per contro, alle piccole banche con sede nei piccoli Stati insulari (i più colpiti dal cambiamento climatico) o in Africa, è stata chiusa la porta in faccia. Gli è stata contestata la mancanza di competenze ambientali o l’assenza delle strutture di governance necessarie a ottenere l’accreditamento presso il Green Climate Fund, che dimostra come questi requisiti siano cuciti su misura per i grossi player.
Un Fondo per il clima che finanzia il carbone
Un altro problema è che il Fondo verde per il clima, attualmente, non ha una clausola che escluda specificamente il finanziamento dei cosiddetti progetti di “carbone pulito“. Questo potrebbe lasciare la porta aperta all’utilizzo del GCF per finanziare impianti con sistemi sperimentali di cattura del carbonio nel Sud del mondo. In pratica, la scusa del riscaldamento globale potrebbe divenire un’opportunità per l’industria del carbone per trasformare le nazioni più a rischio in laboratori a cielo aperto di tecnologie i cui benefici sono inferiori ai costi (ambientali ed economici). Il tutto coperto dalle Nazioni Unite tramite il Fondo per il clima.