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IMU e trivelle, il braccio di ferro continua

La Corte di Cassazione, per la seconda volta, si esprime a favore del riconoscimento delle piattaforme petrolifere come beni immobili e quindi soggetti a imposizione fiscale

IMU e trivelle, il braccio di ferro continua

 

(Rinnovabili.it) – Una battaglia lunga e ai limiti dell’assurdo quella che da ormai vent’anni vede le compagnie petrolifere scontrarsi con il sistema fiscale italiano. Ma mai come quest’anno, il braccio di ferro tra imposte municipali e trivelle è stato così serrato. A febbraio di quest’anno, la Corte di Cassazione aveva individuato quello che sembrava essere un punto fermo: anche le trivelle devono pagare l’IMU. Accogliendo il ricorso del Comune di Pineto, in provincia di Teramo, i giudici avevano infatti stabilito che l’Eni dovesse versare 33 milioni di euro nelle casse comunali, sotto forma di ICI, per le sue quattro piattaforme petrolifere al largo della costa pinetese, considerate in precedenza dalle commissioni tributarie come “intassabili”.

 

La sentenza degli ermellini aveva dopo oltre 20 anni – la battaglia tra amministrazione locale ed Eni andava avanti dal 1993 – scardinato l’intoccabilità dei petrolieri.

La contromossa del Governo non si è fatta attendere neppure troppo. Con il fiato sul collo di Assomineraria e nove Comuni della costa adriatica e della Sicilia con altrettanti atti di accertamento per il pagamento tributario sulle piattaforme petrolifere, il Ministero dell’Economia era corso ai ripari capovolgendo nuovamente le carte. Come? Stabilendo, con risoluzione del 1° giugno 2016, che per applicare l’imposta municipale ci sia bisogno di uno specifico intervento normativo atto a consentire non solo il censimento delle costruzioni (dotate di autonomia funzionale e reddituale) site nel mare territoriale, anche con riferimento alla relativa delimitazione, georeferenziazione e riferibilità ad uno specifico Comune censuario ma anche l’ampliamento del presupposto impositivo dell’IMU e della TASI”.

Tradotto: le piattaforme in mare sono salve in quanto assenti in Catasto, fino a nuovo intervento normativo.

 

Sulla questione però è intervenuta in questi giorni, e per la seconda volta, la Corte di Cassazione, con un sentenza che mette fine alla contesa tra il Comune di Termoli ed Edison, riguardante gli avvisi di accertamento ICI per le piattaforme petrolifere di Rospo Mare, relativamente alle annualità 2007-2010.

Edison lamentava, tra le altre cose, che l’assoggettamento ad imposta comunale delle piattaforme petrolifere stesse violando la normativa perché “il mare non costituisce, anche per ragioni di rilevabilità tecnica e non delimitabilità perimetrale dei fondali, suolo accatastato né accatastabile” perché “la sussistenza di un diritto di superficie” non supera il problema della non iscrivibilità al catasto.

 

Con la nuova sentenza però i giudici tolgono qualsiasi alibi alle società petrolifere, almeno per le attività pregresse: come riconosciuto anche dal Ministero delle Finanze le piattaforme petrolifere situate nel mare territoriale presentano le caratteristiche di un immobile a destinazione speciale e particolare che le farebbero rientrare, quali impianti, in una delle categorie catastali dei gruppi D ed E.

Qualsiasi problema pratico di censibilità catastale, geolocalizzazione e georeferenziazione deve tenere conto delle “opportunità offerte dalle nuove tecnologie GPS di suddivisione e terminazione territoriale, oltre che di ricostruzione cartografica della terraferma come del fondale marino” . E che, in mancanza di rendita catastale la base imponibile delle piattaforme, classificabili nella cat. D, è costituita dal valore di bilancio.

Per il futuro invece è ancora tutto da vedere.

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